Caffo: «Malati di tumore, non si registrano ritardi»
Caffo: «Di fronte ad un sospetto non esitate»
Di fronte a un sintomo sospetto che possa celare una malattia oncologica «non bisogna aspettare» che passi il Covid. L’appello arriva dal primario di oncologia medica dell’ospedale Santa Chiara di Trento, Orazio Caffo. Che garantisce: «Noi lavoriamo rispettando prima di tutto la sicurezza, fondamentale per i pazienti ma anche per chi lavora in reparto». E se in Italia aver rinviato visite e esami per timore di beccarsi il coronavirus in primavera ha fatto ritardare molte diagnosi, in Trentino «il problema è stato marginale» garantisce il dottore.
Dottor Caffo, la pandemia ha portato, almeno nei mesi primaverili, a trascurare le altre malattie, tra cui quelle tumorali: pensa che sia stato giusto?
«Il timore che sia successo questo esiste ma dipende cosa intendiamo per trascurare: non c’è stata una sottovalutazione, ma ci sono state cause di forza maggiore che hanno portato a sospendere in alcuni casi le attività chirurgiche. Per fortuna in Trentino sono state situazioni molto marginali».
Non ci sono stati ritardi che hanno condotto all’aggravarsi di pazienti dunque?
«Per i pazienti in trattamento no, la criticità è
Durante la prima ondata sono state poche le attività chirurgiche sospese o le diagnosi in ritardo
Tutti i pazienti in terapia sono seguiti regolarmente: sono 40-50 persone al giorno
stata legata semmai alla fase di ritardo della diagnosi, ma da noi è stato un fenomeno molto marginale, sentito invece moltissimo in altre regioni. Delle criticità si potrebbero presentare nel momento in cui venisse sospesa l’attività chirurgica. Auspico di certo che non accada e devo aggiungere che anche in pieno lockdown si sono trovati degli escamotage, come lo spostamento dell’attività chirurgica senologica a Villa Igea. Per ora non riscontro problemi particolari».
Quindi dottore chi ha il dubbio o il timore di avere una patologica tumorale non deve rinviare in attesa che passi il Covid...
«No. L’appello che possiamo fare è, di fronte a un sospetto, di non rinviare assolutamente».
Allo stato attuale avete ridotto la vostra attività per la curva crescente dei contagi?
«No. Tutti i pazienti in terapia sono seguiti regolarmente: abbiamo circa 45 -50 persone al giorno, tra day hospital e ambulatori. Facciamo un pre-triage telefonico il giorno prima; in caso di sintomi sospetti da Covid o contatti a rischio inviamo un medico per far fare il tampone e se i sintomi sorgono in sede lo facciamo in ospedale. C’è qualche paziente che a volte cerca di nascondere qualche sintomo: invitiamo a dire sempre tutto».
In marzo però c’era stata una contrazione dell’attività.
«Avevamo avuto una riduzione del 10 -15 per cento, ma direi che era stata quasi spontanea, ossia erano i pazienti che avevano paura a venire, c’era una grande paura a entrare in ospedale. Ribadisco che lavoriamo con grande attenzione, mettendo in atto tutte le possibili misure di prevenzione e distanziamento. L’accesso non è consentito ai parenti dei pazienti e un’altra strategia che stiamo adottando, soprattutto per chi fa terapia orale, è di cercare di monitorarli da casa. Forniamo una dose di farmaco e invece che vedere la persona ogni mese la vediamo ogni 2 o 3 mesi. E abbiamo modificato le modalità di follow up: coloro che non fanno terapia attiva vengono seguiti telefonicamente, fanno gli esami e sono chiamati in caso di pericolo di recidiva».