De Simeis, viaggio di carta nella storia
Un viaggio dalla Palestina a Istanbul fino al Giappone. E dentro la nostra storia
Profumano di antichi saperi le opere di Andrea De Simeis, incisore e cartaio salentino: con pazienza e gesti arcaici prepara preziosi fogli di carta con fibre estratte da piante mediterranee, come il fico, il cotone, la canapa, la ginestra per poi colorarli con tecniche dei maestri tintori. Ne esce una carta preziosa che attinge alle sapienti tecniche orientali dell’VII secolo e ai primordi medioevali della carta. E su questi fogli De Simeis stampa le sue incisioni eseguite nelle diverse maniere calcografiche – acquaforte, acquatinta, puntasecca – immagini affascinanti che sono visitabili in streaming e sui social di Foyer nella mostra Danza Macabra e di altre
storie allo Spazio FoyEr di Trento. Dopo un inizio nella pubblicità, che Andrea De Simeis definisce «una dimensione liquida, un’estenuante staffetta nel volubile lessico dei software, del social marketing», lo stesso s’immerge nell’arte della carta che dichiara essere l’avventura più entusiasmante della sua vita. «Ho risalito la Via della Seta fino ad essere ospite dei maestri cartai giapponesi insigniti dall’imperatore con il titolo di ‘tesori nazionali viventi’». Da loro apprende le tecniche di produzione della washi, la famosa carta fatta a mano giapponese, che riesce a riprodurre scoprendo che la fibra del Ficus carica, pianta assai diffusa in Salento, ha caratteristiche simili al gelso coreano utilizzato appunto per la washi. Un lavoro lento il suo, così come quello dell’incisore: «Ho imparato ad amare la lentezza e la lentezza offre incredibili occasioni di riflessione» ammette. In mostra sono presenti le stampe delle incisioni che ha realizzato per le monografie Qaru Hattin, Derentò e Torchine Bianche.
I primi due titoli, in particolare, «raccontano due precisi momenti, talvolta poco dibattuti ma determinanti nella storia dell’Occidente» dichiara l’autore. La Battaglia ai Corni di Hattin, avvenuta nel 1187, riporta la sanguinosa disfatta dei cristiani in Terrasanta per mano di Saladino, mentre Derentò, nome dato dai Greci a Otranto descrive il progetto di turchizzazione di Maometto II dalla conquista di Costantinopoli al sacco di Otranto. «Questa linea temporale svela quanto siano condizionanti questi accadimenti nella nostra attuale quotidianità e smascheri derivazioni sociali di cui spesso siamo succubi. L’allestimento del Foyer è dunque un viaggio: partiamo dalla Palestina per raggiungere Istanbul e la sua legittima figlia Otranto» aggiunge De Simeis.
E si finisce con un’immersione nella più ancestrale e intima delle paure. Sì, perché a sorprendere più di tutto lo spettatore è senza dubbio la Totentanz, un grande carillon in legno ideato proprio dall’incisore De Simeis che campeggia nel mezzo della mostra. Poggiante su quattro ruote, si compone di tre cilindri che, al giro di una manovella, iniziano a ruotare accompagnati da una melodia. Mostrano diciotto sue incisioni ispirate alle più celebri danze macabre europee: da quella realizzata per il Cimitero degli Innocenti di Parigi alle xilografie
di Hans Holbein e del francese Guy Marchant, dalle silhouettes di Melchior Grossek fino agli irriverenti scheletri del messicano José Posada. Quindi, al termine delle note, dal carillon esce un’incisione dell’artista Andrea De Simeis raffigurante La castellana, L’imperatore, Il Papa, Il nonno Gino, Il contadino, L’infante…, figure ognuna affiancata dal proprio scheletro (La Morte) e corredate da un breve testo composto appositamente da scrittori, musicisti e attori quali Mario Perrotta, Pierpaolo Capovilla, Alberto Casiraghy, Mino De Santis e Andrea Biscaro. La vendita di questi libricini servirà poi a sostenere una tournée internazionale. «La macchina musicale ha riscosso l’interesse di diverse realtà, private e istituzionali e il Trentino, con la sua Danza Macabra eseguita dai pittori Baschenis a Pinzolo, sembra un’opportunità quasi voluta dal destino» ammette l’artista che ricorda come fin dal Medioevo fosse in uso, in particolare durante le feste di carnevale, allestire carri e sfilare mascherati da scheletri per ridicolizzare l’evento luttuoso e gli spettatori. «In un’epoca in cui non si vuole invecchiare, fino a silenziare la nostra naturale destinazione, la Totentanz è un buon pretesto per esplorare una dimensione intima, umana. Ritornare mortali per riappropriarci della vita stessa» sottolinea Andrea De Simeis invitando a riflettere in questi tempi di pandemia.
Riflessioni
In un’epoca in cui non si vuole invecchiare, «Totenanz» è un buon pretesto per esplorare una dimensione intima, umana