Quei bambini che andavano in Svezia, come rondini a primavera
Li chiamavano «bambini di Svevia»: erano i figli di contadini, provenienti da Tirolo, Alto Adige, Liechtenstein e Svizzera che, a partire dal XVII secolo fino all’inizio del XX secolo, venivano acquistati e impiegati in Svevia dai proprietari terrieri per lavori stagionali. Ogni marzo centinaia di bambini e bambine tra i 5 e i 14 anni affrontavano un cammino di oltre 200 chilometri per raggiungere le famiglie dei loro futuri padroni, per tornare a casa solo a novembre, otto mesi dopo. A raccontare la loro storia è Romina Casagrande con «I bambini di Svevia» (Garzanti, 2020, 380 pagine, 18.60 euro) attraverso le vicende di Edna e Jacob, la cui amicizia è stata per la bambina l’unica luce di un destino infausto. Settantacinque anni dopo, Edna si rimette in cammino seguendo il cammino della sua infanzia. Un romanzo storico, ma anche un saggio, con un lungo lavoro di ricerca che ripercorre la tragedia dei «bambini delle rondini», così chiamati perché partivano ogni primavera per tornare in autunno.