LA RICETTA DI CHI INVESTE
Alberghi, servizi di alloggio e ristorazione danno lavoro in regione, tra titolari e dipendenti, a circa cinquantamila persone. Parliamo di industria del turismo, ma la realtà è fatta di migliaia di imprese, perlopiù piccole e a conduzione familiare, che devono far quadrare i conti. Capite bene che cambiare lo schema di business di un sistema così articolato è tutt’altro che facile. Comunque sia, la svolta non può essere repentina per ovvie ragioni. Rassegnarsi alla lentezza del cambiamento, d’altronde, non è permesso: il cliente, se non trova ciò che cerca, si rivolge altrove. Non bastasse, la pandemia di Covid 19 ha dato una mazzata ai bilanci e purtroppo non è finita: azzardare previsioni sarebbe velleitario, intanto bisogna constatare che c’è già chi ha dovuto gettare la spugna e chiudere l’attività. Il «perfido virus» ha mutato molte abitudini di consumo, però non sappiamo se sia un fenomeno transitorio o definitivo. Di certo, ben prima dell’emergenza sanitaria, gli osservatori più attenti hanno registrato novità significative riguardo alla domanda di vacanza. Gianni Gajo, ex manager Marzotto da anni a capo di Alcedo (fondo di private equity), in una recente intervista al sito VeneziePost ha spiegato con chiarezza quali siano le tendenze da coltivare: «Io guardo con interesse soprattutto a un nuovo modello turistico che si sta imponendo sempre più a livello globale. E che fa del rapporto con la natura e con la sostenibilità il suo asse centrale».
Gajo cita «grandi marchi come Patagonia» che puntano su tale impostazione: il domani, aggiunge, non sarà più fatto «di impianti di risalita, come ha ben compreso un’azienda come Leitner che si sta spostando su segmenti di produzione lontani da quel business, ma su un turismo pedestre che dissemina sul territorio strutture di ospitalità pensate per un turismo dolce. È questo il futuro della montagna — conclude — Ne sono convinto tanto che sto ragionando con investitori su simili progetti». Anche alla Borsa del turismo montano, chiusa la settimana scorsa a Trento, si è riflettuto sui processi di cambiamento in atto e che la pandemia ha accelerato, mentre in tutta la regione non mancano gli imprenditori lungimiranti impegnati a giocare di anticipo. A livello generale, tuttavia, le contraddizioni, per quanto comprensibili, non mancano, poiché molti si ostinano a sperare che «tutto torni come prima», realizzando perciò progetti e investimenti dal fiato corto, per non dire di peggio. Toccherebbe alla politica indicare la difficile quanto inevitabile rotta, ma quando va bene il Palazzo, che ormai non ragiona più nella prospettiva di una legislatura bensì in base a sondaggi e riscontri quotidiani sui social network, procede a zig zag, un colpo al cerchio e uno alla botte. C’è anche un problema di qualità complessiva della classe dirigente in cui non mancano donne e uomini di alta competenza, ma pure profili vistosamente inadeguati. Un esempio? Giovedì scorso, i consiglieri comunali di Bolzano hanno testato il nuovo sistema informatico per effettuare le riunioni a distanza ed è stato un mezzo disastro. Il software è innocente: «C’è gente che sembrava non avesse mai acceso un personal computer prima d’ora», ha confessato uno degli eletti, al punto che molti hanno avuto difficoltà perfino in un’operazione semplice come attivare microfono e telecamera. Non amando chi dileggia i politici per puro pregiudizio, ribadisco che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Ma ciò non significa ignorare come sia grave che gli amministratori di un capoluogo abbiamo difficoltà nell’usare una tecnologia ormai elementare.