Corriere del Trentino

L’Africa e la «chang’aa» Le storie dei dimenticat­i diventano film e mostra

Il racconto di Zuin e Signori con Fondazione Fontana

- di Fabio Bozzato

La chang’aa è una grappa fatta in casa: un distillato di cereali, come miglio, mais e sorgo con l’aggiunta di zucchero o melassa, a cui però si mescolano i più disparati additivi per aumentarne il potere stordente, compresi i liquidi per le batterie delle auto. E’ uno degli alcolici più conosciuti in Kenya, con uno strascico di danni alla salute e di problemi sociali tali da farla diventare una vera e propria emergenza. Si stima che in media il primo goccio di chang’aa si consumi all’età di 9 anni. E’ questo uno dei fronti che vede impegnata l’organizzaz­ione religiosa di base Saint Martin, nella zona rurale di Nyahururu, una città a due ore dalla capitale Nairobi. La Saint Martin è frutto del lavoro ventennale in Kenya di don Gabriele Pipinato, missionari­o veneto che da oltre vent’anni opera in quel territorio. Chiave del successo dei vari interventi messi in campo è la capacità di coinvolger­e volontari locali e ormai ne conta più di 1200. Sono loro che organizzan­o e motivano la rete delle comunità e delle famiglie. Non a caso il loro motto è «Only through community»: solo attraverso la comunità. E’ nato da qui il progetto video e fotografic­o di Marco Zuin e Andrea Signori, prodotto con la Fondazione Fontana, attivissim­a onlus con sede a Padova e a Trento, che da sempre aiuta la Saint Marti. La mostra si intitola Badilisha, che in lingua swahili vuol dire cambiament­o: allestita di recente alle Gallerie Piedicaste­llo – Museo storico di Trento, la mostra ha dovuto chiudere i battenti per via dei provvedime­nti antiCovid, almeno fino al 3 dicembre. Ma il lavoro video sarà presto visibile on-line e il trailer già su youtube.

In 15 minuti, il docu-movie raccoglie la voce di chi ha vissuto la dipendenza da chang’aa, le ferite che si è lasciato dietro, il dissesto delle relazioni e la possibilit­à di ricovolto minciare. «Sono stato all’inferno per 24 anni – dice un uomo che è riuscito a vincere la dipendenza – . Ne sono uscito, ma so che se bevo ancora solo un goccio, ritorno nel baratro».

Marco Zuin ha confeziona­to un lavoro video delicato, armando un set con un fondale nero (opera di un artista del posto, Samuel Kariuki), «per lasciare che fossero la voce e il di ognuno a prendere la scena», ci racconta. Vicentino di nascita e trevigiano di adozione, Zuin ha già firmato altri video-doc di successo, tra cui il pluripremi­ato Sedie di cartone del 2015, sempre prodotto da Fondazione Fontana e presentato in molti festival europei. Zuin conosce bene la realtà kenyota: «E’ dal 2011 che ogni anno vado là, ho ormai un forte legame con quel luogo e cerco di raccontarl­o». Per realizzare il video Badilisha ha raccolto più di cinquanta interviste, è entrato nelle case dove si mette a bollire la chang’aa, ne ha scoperto i rituali e il micro-mondo che ci gira attorno.

Anche Andrea Signori frequenta da tempo le città africane. Padovano, una laurea in scienze politiche, ha una ricca esperienza da fotoreport­er freelance e i suoi lavori sono stati pubblicati da molte testate nazionali. «Mi ha colpito molto, al di là della sofferenza delle singole persone, le conseguenz­e sociali e familiari della dipendenza: gli abusi su figli e mogli, la distruzion­e dei legami, gli strascichi psicologic­i e psichiatri­ci». Su questa onda d’urto, Andrea Signori ha continuato a indagare, tornando ancora in Kenya tra le baraccopol­i di Nairobi: «Mi piacerebbe farne un lavoro con un respiro più ampio».

 Cambiament­o Abuso, dipendenza e recupero al centro dell’impegno della onlus «Saint Martin» a Nyahururu, in Kenya

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All’inferno Una scena del docu-film. La chang’aa è una grappa fatta in casa: distillato di cereali con additivi per stordire

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