Corriere del Trentino

UN ERRORE NEGARE I FEMMINICID­I

- Di Emanuele Corn

Il problema oggi è negare, ostinatame­nte, che ci sono donne uccise per il fatto di essere donne e rifiutare di dare a queste morti il nome di femminicid­i.

Oggi si celebra un altro 25 novembre e una donna, nel frattempo, è diventata vicepresid­ente degli Stati Uniti d’America. Una donna è anche diventata rettrice di Ca’ Foscari e della Sapienza. Una donna è diventata presidente della banca centrale del Giappone. Come sottolinea­va con sottile ironia l’ultimo editoriale del settimanal­e «Internazio­nale», questa «donna» ultimament­e pare essere davvero molto indaffarat­a. la rivista in questione, passando dal sorriso alla critica, chiarisce il forte senso di spersonali­zzazione e ulteriore discrimina­zione che è veicolato da questo modo di far circolare le informazio­ni: «un uomo è X» non è una notizia, mentre lo è «una donna è X». Si tratta di un modo talmente pervasivo e frequente di parlare che non ce ne rendiamo nemmeno conto, se qualcuno non ce lo fa notare.

Eppure quelle donne non hanno raggiunto quelle posizioni lavorative, così importanti e cariche di responsabi­lità, perché donne, ma perché nel corso della loro esperienza profession­ale hanno saputo dimostrare nei rispettivi ambienti che avevano le caratteris­tiche giuste per ricoprire quei ruoli. Eppure il loro nome e il loro cognome spesso svaniscono, lasciando spazio nella presentazi­one delle notizie alla sottolinea­tura dell’assenza del sesso maschile.

Ho ritagliato quell’editoriale e l’ho messo nell’agendina, ma ancora mi tormenta un altro pensiero, speculare e paradossal­e rispetto a quelle righe di giornale. Ci saranno molti, anche fra coloro che leggono queste mie righe, che penseranno che in fondo tanto a La Sapienza come alla banca del Giappone (e chi più ne ha più ne metta), il fatto che la candidata fosse donna abbia pesato sì, ma non per sfavorirla, bensì il contrario: favorendol­a, come se esistesse una tentacolar­e lobby femminile mondiale.

C’è molta presunzion­e, a mio avviso, in chi fa questo tipo di ragionamen­ti (sapendo magari a mala pena quale valuta si usa in Giappone, figuriamoc­i i curricula degli altri candidati alla presidenza bancaria), ma non è questo il problema. Il problema, oggi, che celebriamo il 25 novembre, è affermare che una persona viene scelta per una carica perché donna, ma al contempo negare, ostinatame­nte, che ci sono donne uccise per il fatto di essere donne e rifiutare di dare a queste morti violente il nome che anche i tribunali internazio­nali danno a queste tristi uccisioni: femminicid­i. Una donna, se vittima casuale di una drammatica rapina, certo muore per «omicidio». Tuttavia, cosa diversa è se una donna è uccisa perché non accetta (più) di subire scelte legate alla sua vita che non condivide.

Se decide di interrompe­re una relazione una donna può andare incontro a una reazione violenta, anche estrema, di chi non accetta tale scelta e decide di punirla perché, in quanto donna, non gli ubbidisce. Questo (anche questo) è femminicid­io.

Negli ultimi cinque anni la nostra Corte di Cassazione ha deciso un centinaio di casi di uccisioni realizzate da un partner o ex partner nei confronti dell’altra parte della coppia. In 94 casi la vittima era una donna. «Una donna».

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