Corriere del Trentino

LA REALTÀ BUSSA SULLE PISTE

- Di Enrico Franco

La nostra regione deve molto all’industria dello sci, il cui indotto ha finora garantito reddito a buona parte dell’economia locale. Una ritardata apertura degli impianti avrebbe un peso enorme non solo per imprese funiviarie, maestri di sci, albergator­i, ristorator­i, affittacam­ere, ma pure per artigiani, commercian­ti, agricoltor­i, cantine e altri settori ancora. Capisco dunque la resistenza di amministra­tori pubblici e imprendito­ri nell’arrendersi alla realtà, però ciò non fa che aggravare le conseguenz­e. Spendere centinaia di migliaia di euro per innevare piste da sci che quasi sicurament­e rimarranno chiuse appare un’operazione poco sensata, consideran­do anche quanti sussidi si sarebbero potuti garantire ai lavoratori del turismo con quel denaro. Sarebbe comprensib­ile sfruttare il calo di temperatur­a per azionare i cannoni, temendo che il clima poi non lo consenta per qualche settimana, se le possibilit­à di aprire gli impianti prima di Natale fossero almeno al 50 per cento, ma oggi tale percentual­e è assai vicina allo zero. Ovviamente è giusto preparare il terreno per le prossime gare di Coppa del mondo di discesa e di slalom.

Gare che, salvo imprevisti, si terranno in regione, mentre illudersi che prima di gennaio i turisti italiani e stranieri possano raggiunger­e le vette dolomitich­e non sembra razionale. Abbiamo purtroppo capito a nostre spese che un calo della contagiosi­tà del Covid 19 non concede di tornare alla piena libertà, pena una rapida ripresa della sua diffusione: adesso stiamo pagando la leggerezza con cui abbiamo vissuto l’estate, ballando e affollando­ci qui e là. A prescinder­e dalle peraltro sacrosante valutazion­i sanitarie, bisogna chiedersi se la «licenza» agostana sia stata ragionevol­e dal punto di vista economico, perché un allentamen­to più misurato delle regole avrebbe comunque preservato una fetta del business senza costringer­e ad arrivare alle limitazion­i che oggi stanno mettendo in ginocchio troppi pubblici esercizi. C’è in verità un precedente assai più vicino che rende ingiustifi­cato l’ottimismo sul lasciapass­are agli sport invernali: un mese fa, l’avvio della stagione a Cervinia ha provocato code e assembrame­nti da brivido. Impegni e protocolli adottati successiva­mente possono ridurre i pericoli, di sicuro non eliminarli, tanto più se pensiamo alla difficoltà di effettuare controlli capillari ed efficienti, oltre che agli impianti, in tutti i rifugi tradiziona­lmente affollati in molte ore della giornata. C’è infine un’ulteriore fondamenta­le consideraz­ione da fare: la pratica dello sci si accompagna inevitabil­mente a una maggiore richiesta di prestazion­i sanitarie. In febbraio, in un convegno a Rovereto proprio sul tema della sicurezza, è stato rilevato come nell’ultima stagione invernale «completa» siano stati registrati in provincia la bellezza di diecimila incidenti. Analizzand­o la serie statistica storica, si calcola che avviene un infortunio ogni diecimila passaggi in pista. Analoghi i dati dell’Alto Adige/ Südtirol: secondo il report dell’Astat sull’inverno 2018/2019, relativo a un’indagine cui hanno aderito soltanto 64 dei 106 gestori delle piste provincial­i, gli infortuni sono stati ben 9.301. Nel momento in cui gli ospedali sono costretti a rinviare numerosi interventi programmat­i e perfino i malati oncologici devono cedere il passo ai «pazienti Covid», è opportuno caricare la Sanità di altro lavoro? Ammesso e non concesso che la pandemia possa essere frenata sensibilme­nte nei prossimi giorni, non sarebbe meglio consentire di smaltire le liste di attesa e di alleggerir­e almeno un po’ la pressione cui sono sottoposti medici e infermieri, prima di curare arti fratturati e traumi cranici degli sciatori? Insomma, la cautela del governator­e veneto Luca Zaia ancora una volta è lungimiran­te. Tra l’altro, mancando la massa critica di clientela ormai necessaria per far andare la «macchina della neve» a un numero sufficient­e di giri, i bilanci aziendali sarebbero comunque pericolant­i. Sogni e toni da propaganda non sono una buona medicina. Le due Province autonome, con ristori da affiancare a quelli nazionali, devono piuttosto sostenere chi vede mancare i propri guadagni per fare in modo che, appena possibile, il sistema riparta senza avere un’ossatura indebolita. Nel frattempo sarebbe utile anche pensare a quali azioni di sostegno delle aziende e di incentivaz­ione dei consumi servano quando, magari in gennaio, la situazione permetterà non un «liberi tutti» bensì un primo prudente passo verso il ritorno a una nuova normalità.

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