LA REALTÀ BUSSA SULLE PISTE
La nostra regione deve molto all’industria dello sci, il cui indotto ha finora garantito reddito a buona parte dell’economia locale. Una ritardata apertura degli impianti avrebbe un peso enorme non solo per imprese funiviarie, maestri di sci, albergatori, ristoratori, affittacamere, ma pure per artigiani, commercianti, agricoltori, cantine e altri settori ancora. Capisco dunque la resistenza di amministratori pubblici e imprenditori nell’arrendersi alla realtà, però ciò non fa che aggravare le conseguenze. Spendere centinaia di migliaia di euro per innevare piste da sci che quasi sicuramente rimarranno chiuse appare un’operazione poco sensata, considerando anche quanti sussidi si sarebbero potuti garantire ai lavoratori del turismo con quel denaro. Sarebbe comprensibile sfruttare il calo di temperatura per azionare i cannoni, temendo che il clima poi non lo consenta per qualche settimana, se le possibilità di aprire gli impianti prima di Natale fossero almeno al 50 per cento, ma oggi tale percentuale è assai vicina allo zero. Ovviamente è giusto preparare il terreno per le prossime gare di Coppa del mondo di discesa e di slalom.
Gare che, salvo imprevisti, si terranno in regione, mentre illudersi che prima di gennaio i turisti italiani e stranieri possano raggiungere le vette dolomitiche non sembra razionale. Abbiamo purtroppo capito a nostre spese che un calo della contagiosità del Covid 19 non concede di tornare alla piena libertà, pena una rapida ripresa della sua diffusione: adesso stiamo pagando la leggerezza con cui abbiamo vissuto l’estate, ballando e affollandoci qui e là. A prescindere dalle peraltro sacrosante valutazioni sanitarie, bisogna chiedersi se la «licenza» agostana sia stata ragionevole dal punto di vista economico, perché un allentamento più misurato delle regole avrebbe comunque preservato una fetta del business senza costringere ad arrivare alle limitazioni che oggi stanno mettendo in ginocchio troppi pubblici esercizi. C’è in verità un precedente assai più vicino che rende ingiustificato l’ottimismo sul lasciapassare agli sport invernali: un mese fa, l’avvio della stagione a Cervinia ha provocato code e assembramenti da brivido. Impegni e protocolli adottati successivamente possono ridurre i pericoli, di sicuro non eliminarli, tanto più se pensiamo alla difficoltà di effettuare controlli capillari ed efficienti, oltre che agli impianti, in tutti i rifugi tradizionalmente affollati in molte ore della giornata. C’è infine un’ulteriore fondamentale considerazione da fare: la pratica dello sci si accompagna inevitabilmente a una maggiore richiesta di prestazioni sanitarie. In febbraio, in un convegno a Rovereto proprio sul tema della sicurezza, è stato rilevato come nell’ultima stagione invernale «completa» siano stati registrati in provincia la bellezza di diecimila incidenti. Analizzando la serie statistica storica, si calcola che avviene un infortunio ogni diecimila passaggi in pista. Analoghi i dati dell’Alto Adige/ Südtirol: secondo il report dell’Astat sull’inverno 2018/2019, relativo a un’indagine cui hanno aderito soltanto 64 dei 106 gestori delle piste provinciali, gli infortuni sono stati ben 9.301. Nel momento in cui gli ospedali sono costretti a rinviare numerosi interventi programmati e perfino i malati oncologici devono cedere il passo ai «pazienti Covid», è opportuno caricare la Sanità di altro lavoro? Ammesso e non concesso che la pandemia possa essere frenata sensibilmente nei prossimi giorni, non sarebbe meglio consentire di smaltire le liste di attesa e di alleggerire almeno un po’ la pressione cui sono sottoposti medici e infermieri, prima di curare arti fratturati e traumi cranici degli sciatori? Insomma, la cautela del governatore veneto Luca Zaia ancora una volta è lungimirante. Tra l’altro, mancando la massa critica di clientela ormai necessaria per far andare la «macchina della neve» a un numero sufficiente di giri, i bilanci aziendali sarebbero comunque pericolanti. Sogni e toni da propaganda non sono una buona medicina. Le due Province autonome, con ristori da affiancare a quelli nazionali, devono piuttosto sostenere chi vede mancare i propri guadagni per fare in modo che, appena possibile, il sistema riparta senza avere un’ossatura indebolita. Nel frattempo sarebbe utile anche pensare a quali azioni di sostegno delle aziende e di incentivazione dei consumi servano quando, magari in gennaio, la situazione permetterà non un «liberi tutti» bensì un primo prudente passo verso il ritorno a una nuova normalità.