Corriere del Trentino

La vita vissuta con una mano sola della regina della body positivity tra arrampicat­e, sci e tanti viaggi

- M. D. C.

Che Nicolle Boroni sia — come recita il suo profilo Instagram — «una ragazza alla mano» non ci piove. Parola dei giurati di «Strike», che l’hanno incoronata regina dell’edizione 2020. Classe 1993, di Bocenago, Nicolle scia, arrampica, nuota e viaggia, a piedi, in motorino e se serve anche a dorso di dromedario. Tutto con l’aiuto della sola mano sinistra. La destra l’ha persa a quattro anni, giocando con il fratello nella macelleria di famiglia. «Non ricordo molto dei mesi che seguirono l’incidente» racconta. «Ero così piccola che le visite dagli specialist­i mi sembravano un’avventura fatata». Poi, crescendo, è venuto l’impegno per raggiunger­e la piena autonomia. «Ho imparato a mettermi lo smalto, a farmi le trecce e alle superiori ho fatto domanda per entrare in una scuola sportiva, ma sono stata invitata a ritirarmi, perché non credevano che sarei stata in grado di arrampicar­e. Da quel momento ho iniziato a percepire la mia diversità come una mancanza, un difetto da nascondere con sciarpe e maniche lunghe». Fino a che è arrivata la possibilit­à di vivere un’esperienza di volontaria­to in Ecuador, in una scuola per bambini disabili. «Di colpo — racconta Nicolle — non dovevo più nasconderm­i. Quelle persone avevano problemi molto più grossi del mio e minori speranze di una vita piena». Un pomeriggio, l’incontro con un pescatore che aveva perso la mano lanciando una mina in mare. «Aveva le treccine e disse che prima dell’incidente le faceva anche alla figlia. E che ora non sapeva più allacciars­i le scarpe. Si sentiva inutile. Così io, usando un’altra volontaria, gli dimostrai che invece avrebbe potuto ritrovare quei gesti che credeva perduti. Pianse, spiegandom­i che gli avevo cambiato la vita». Ma era un sentimento reciproco, perché da allora Nicolle non si è più fermata. Ha visitato il Gambia, contribuit­o a sbarrierar­e una serie di percorsi di arrampicat­a sul Brenta e mentre aspetta che la pandemia si plachi per scoprire il Perù, è diventata un riferiment­o della body positivity. Le scrivono ragazze che faticano ad accettarsi per i chili di troppo, ma anche giovani menomati dai botti. E poter essere utile a loro, assicura lei, è la soddisfazi­one più grande.

La sportiva

In una scuola per bimbi disabili in Ecuador ho capito, di colpo, che non dovevo più nasconderm­i

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