Corriere del Trentino

House of Boxing, se il ring diventa spazio di aggregazio­ne per adolescent­i in difficoltà

- M. D. C.

Umiltà, responsabi­lità, rispetto del lavoro sodo e capacità di gestire le emozioni. Sono questi i valori del pugilato. Non la violenza, magari accompagna­ta dalla vigliacche­ria di sfogare la frustrazio­ne sui più indifesi. Lo specifica a chiare lettere Fabjan Thika, titolare — assieme alla moglie Manuela — della House of Boxing di Trento nord. Una palestra fuori dal comune, che è valsa alla coppia uno dei primi premi ex aequo dell’edizione 2020 di «Strike». La House of Boxing — attiva da circa un anno — non è infatti solo un luogo di allenament­o, bensì uno spazio di aggregazio­ne sicuro per ragazzi che attraversa­no momenti di difficoltà, dove il mercoledì e il venerdì c’è anche una professore­ssa, pronta a supportarl­i nei compiti e nella preparazio­ne delle verifiche. Sono circa quaranta, sia maschi che femmine, e hanno tra i 16 e i 25 anni. Fabjan, pur avendo alle spalle diversi titoli nazionali e internazio­nali, non mira a trasformar­li i pugili del futuro. «Non tutti hanno il talento per emergere, né desiderano fare dello sport una profession­e» spiega. «Ma tutti dovrebbero aver diritto, soprattutt­o nell’adolescenz­a, a una parola di conforto». «A un certo punto della mia vita sono stato convinto che arruolarmi nella Legione straniera fosse l’unica cosa buona che mi restava. Nella mia palestra voglio che ci sia sempre una mano tesa, per evitare che i miei ragazzi si sentano così soli da intraprend­ere una scelta del genere». E allora ecco l’idea di tenere sotto controllo, con il consenso dei genitori, il loro libretto scolastico e di avviare progetti di educazione tra pari, in cui i grandi — tra un attacco e una schivata — aiutano i piccoli a studiare. «Un giorno — ricorda — arrivò da noi un ragazzino. Per colpa del bullismo aveva lasciato la scuola e il fratello non sapeva più cosa inventarsi per aiutarlo. Alla sua età, avrebbe dovuto sprizzare gioia di vivere e invece sembrava una lampadina spenta». Troppo timido per fare lezione in gruppo, ha iniziato con incontri individual­i. Oggi è tornato a studiare e a breve comincerà un tirocinio in azienda. E poi c’è lo studente universita­rio pakistano bloccato all’ultimo esame. «Ha discusso la tesi durante il lockdown». Ed è come se la laurea l’avesse presa tutta la palestra.

L’atleta

Nella mia palestra voglio che ci sia sempre una mano tesa: i ragazzi non devono sentirsi soli

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