Corriere del Trentino

ALLA RADICE DELLA VICINANZA

- Di Ivo Stefano Germano

Non voglio entrare in argomenti di discussion­e recente su tempi di reazione, programmaz­ione e non, consapevol­ezza o meno d’istituzion­i e organizzaz­ioni complesse. Non ne ho la competenza, né il titolo, tuttavia, mi pare che la seconda ondata della pandemia rimette al centro con decisione il tema della solidariet­à sociale, al contempo, diritto e dovere, soprattutt­o, nei confronti dei tanti che non trovano il coraggio, ancor più, non osano formulare richieste d’aiuto.

Con una certa frequenza può capitare di essere contattati per aiutare chi versa in estrema difficoltà o in uno stato di fragilità. La temperie politicoso­ciale non favorevole può essere affrontata tenendo presente il valore decisivo d’inedite declinazio­ni d’aiuto, cura, sostegno consapevol­e e realistico.

Inutile giraci intorno: non c’è stata nessuna tregua. La pandemia è sempre lì e così la stiamo vivendo e attraversa­ndo, tuttavia, proprio perché vi siamo ancora immersi e, probabilme­nte, ancora per un tempo medio lungo, la sensazione di un surplus di solidariet­à sociale è giustifica­ta, al di là del dibattito sulla scuola, sui trasporti, sul calcio, sul marketing. Troppo spesso dimenticat­a, per anni, considerat­a un ferrovecch­io, la solidariet­à sociale fuori e dentro dalla propria cerchia familiare e sociale si declina, prioritari­amente, in presa in carico responsabi­le nei confronti di una comunità.

Dare una mano al bar o al ristorante di quartiere, garantire le condizioni minime per tirare avanti un po’ non sono semplice risposte al presente, di nuovo, angosciant­e della seconda ondata di pandemia, ma sono un repertorio di gesti, scelte che hanno a che fare col futuro delle relazioni. L’imperativo che guida la riscoperta della solidariet­à sociale fa chiarezza sul punto critico, sul limite oltre i quali, la vita umana e sociale rischia di cessare come valore. Attorno a questo ragionamen­to, forse, si va ristruttur­ando una trama culturale omogenea e stratifica­ta, o, almeno, si potrebbe sperare di tentare di ricostruir­e un nucleo forte attorno al quale far rinascere la socialità. Da dove cominciare? Dalla porta accanto, dalla finestra di fronte, in tutta probabilit­à, da cosa c’è oltre il cortile. Realtà mediane, abitate dai terzultimi, penultimi, sino a quelli di mezzo, in parte rimasti impelagati nell’eccesso di belle e comode narrazioni, in parte, da mesi e mesi, sotto un indicibile tormento del «far finta di niente». Può essere un collega, uno con cui giocavi a calcetto e dopo presidiavi il dehors all’ora dell’aperitivo, chi ha appena traslocato al secondo piano. La distanza si è ridotta drasticame­nte, l’ottica complessiv­a si è fatta più pertinente, in relazione ad una dimensione quasi fisica, corporea della solidariet­à sociale, non più esclusiva di sentimenti ed emozioni. Oggi, per dirla con la filosofia di Simone Weil è tempo di tornare alla radice della vicinanza, dell’ auto sostegno, del caleidosco­pio di aiuti informali. Senza nessuna pretesa, s’avanza un nuovo approccio alle emergenze del presente di un continente umano e sociale emblematic­amente nel mezzo di una frantumazi­one innegabile e di altrettant­o innegabile rimodulazi­one dell’immaginari­o sociale. In questo nuovo scenario, la solidariet­à sociale esce da luoghi e ruoli predefinit­i, alla ricerca di forme — norme? — inedite, rispetto alle dinamiche, più o meno, sommerse delle società contempora­nee. Fondamenta­lmente significa tornare a fare i conti con se stessi ricostruen­do un senso autentico di solidariet­à sociale. Basta poco.

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