ALLA RADICE DELLA VICINANZA
Non voglio entrare in argomenti di discussione recente su tempi di reazione, programmazione e non, consapevolezza o meno d’istituzioni e organizzazioni complesse. Non ne ho la competenza, né il titolo, tuttavia, mi pare che la seconda ondata della pandemia rimette al centro con decisione il tema della solidarietà sociale, al contempo, diritto e dovere, soprattutto, nei confronti dei tanti che non trovano il coraggio, ancor più, non osano formulare richieste d’aiuto.
Con una certa frequenza può capitare di essere contattati per aiutare chi versa in estrema difficoltà o in uno stato di fragilità. La temperie politicosociale non favorevole può essere affrontata tenendo presente il valore decisivo d’inedite declinazioni d’aiuto, cura, sostegno consapevole e realistico.
Inutile giraci intorno: non c’è stata nessuna tregua. La pandemia è sempre lì e così la stiamo vivendo e attraversando, tuttavia, proprio perché vi siamo ancora immersi e, probabilmente, ancora per un tempo medio lungo, la sensazione di un surplus di solidarietà sociale è giustificata, al di là del dibattito sulla scuola, sui trasporti, sul calcio, sul marketing. Troppo spesso dimenticata, per anni, considerata un ferrovecchio, la solidarietà sociale fuori e dentro dalla propria cerchia familiare e sociale si declina, prioritariamente, in presa in carico responsabile nei confronti di una comunità.
Dare una mano al bar o al ristorante di quartiere, garantire le condizioni minime per tirare avanti un po’ non sono semplice risposte al presente, di nuovo, angosciante della seconda ondata di pandemia, ma sono un repertorio di gesti, scelte che hanno a che fare col futuro delle relazioni. L’imperativo che guida la riscoperta della solidarietà sociale fa chiarezza sul punto critico, sul limite oltre i quali, la vita umana e sociale rischia di cessare come valore. Attorno a questo ragionamento, forse, si va ristrutturando una trama culturale omogenea e stratificata, o, almeno, si potrebbe sperare di tentare di ricostruire un nucleo forte attorno al quale far rinascere la socialità. Da dove cominciare? Dalla porta accanto, dalla finestra di fronte, in tutta probabilità, da cosa c’è oltre il cortile. Realtà mediane, abitate dai terzultimi, penultimi, sino a quelli di mezzo, in parte rimasti impelagati nell’eccesso di belle e comode narrazioni, in parte, da mesi e mesi, sotto un indicibile tormento del «far finta di niente». Può essere un collega, uno con cui giocavi a calcetto e dopo presidiavi il dehors all’ora dell’aperitivo, chi ha appena traslocato al secondo piano. La distanza si è ridotta drasticamente, l’ottica complessiva si è fatta più pertinente, in relazione ad una dimensione quasi fisica, corporea della solidarietà sociale, non più esclusiva di sentimenti ed emozioni. Oggi, per dirla con la filosofia di Simone Weil è tempo di tornare alla radice della vicinanza, dell’ auto sostegno, del caleidoscopio di aiuti informali. Senza nessuna pretesa, s’avanza un nuovo approccio alle emergenze del presente di un continente umano e sociale emblematicamente nel mezzo di una frantumazione innegabile e di altrettanto innegabile rimodulazione dell’immaginario sociale. In questo nuovo scenario, la solidarietà sociale esce da luoghi e ruoli predefiniti, alla ricerca di forme — norme? — inedite, rispetto alle dinamiche, più o meno, sommerse delle società contemporanee. Fondamentalmente significa tornare a fare i conti con se stessi ricostruendo un senso autentico di solidarietà sociale. Basta poco.