«Differenze sociali sempre più acuite dalla didattica online»
La Femina: ma chi soffriva d’ansia sta meglio
Mentre il governo stima non prima del 7 gennaio il ritorno in classe, cresce la protesta contro le scuole chiuse e la didattica a distanza. «È un danno incommensurabile alle nuove generazioni» ha detto al Corriere della Sera Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico nazionale. Concorde la ministra all’Istruzione Lucia Azzolina che tratta con sindaci e governatori per una riapertura anticipata. Intanto in varie città d’Italia i ragazzi si organizzano spontaneamente per protestare davanti agli istituti chiusi, mentre cresce l’allarme per i rischi psicologici. Affronta quest’ultimo tema Floriana La Femina, dirigente psicologa dell’Azienda sanitaria per l’ambito centrosud.
Dottoressa La Femina, cosa ne pensa della didattica a distanza?
«È un fenomeno nuovo ed è presto per dare risposte certe. Sicuramente la tecnologia ha aiutato a fornire un diritto, quello all’istruzione. Senza non sarebbe stato possibile, purtroppo la realtà è questa: c’è una pandemia, c’è da proteggere le persone fragili, questa è stata una soluzione per non fermare del tutto la scuola».
Può però causare
problemi psicologici agli studenti?
«La didattica a distanza non sta creando nuove problematiche psicologiche, mi sento di poter dire questo anche se come detto è un fenomeno nuovo ancora da indagare a fondo. Nella maggior parte delle situazioni di benessere psicologico, cioè senza problemi specifici precedenti, è normale sentirsi più tristi, più demotivati, più ansiosi. Ma è perché ci si sta adattando a qualcosa di nuovo, è la condizione che qualunque essere umano prova nel passare a una nuova situazione. Non parlerei di problemi psicologici». Quindi tutto a posto?
«No, sicuramente i ragazzi preferiscono stare in un contesto socializzante. Anche l’apprendimento è facilitato da un contesto relazionale. La relazione diretta coi professori è importante quanto quella coi compagni, siamo esseri sociali e attraverso le relazioni noi apprendiamo tutte le informazioni. Non solo le nozioni scolastiche: i modi di stare al mondo, punti di riferimento, modelli in cui identificarsi, proiezione futura del lavoro che si vuole fare e dell’adulto che si vuole essere. Tutto questo nasce dalla relazione con compagni e professori e naturalmente questo sta avvenendo meno. Però da qui a dire che nascano problemi nel senso di disturbi clinici non me la sentirei di dirlo, non ho fatto più diagnosi a causa della
Dad, né in primavera o adesso abbiamo registrato un numero maggiore di accesso ai servizi psicologici».
E invece chi aveva problematiche antecedenti alla Dad?
«Sicuramente invece chi aveva già delle problematiche può trovare nella didattica a distanza una situazione che favorisce ancora di più l’espressione del disagio. Chi ha un disturbo della condotta o chi ha più difficoltà nell’apprendimento ha fatto più fatica nel gestirsi a casa da solo davanti a un computer. Poi c’è la questione dello svantaggio culturale, c’è stata anche una maggiore evidenza delle differenze sociali. Chi non ha strumenti adeguati come
buone connessioni o più pc o tablet in casa si è trovato un po’ tagliato fuori. Però in altri casi abbiamo notato cambiamenti in positivo». In positivo?
«Sì, ci ha sorpresi. Chi aveva una problematica di ansia sociale, quindi nell’esporsi in prima persona nel contesto classe per paura del giudizio degli altri è riuscito a partecipare con minor disagio alle attività. Tramite il computer possono partecipare senza il fattore stressante di essere esposti visivamente al giudizio degli altri».
Cosa ne pensa di permettere il ritorno in classe?
«Alla lunga la sola Dad non è motivante, vanno cercati altri sistemi. All’inizio c’era l’ipotesi di non far andare i ragazzi tutti a scuola nello stesso momento, ma prevedere scaglionamenti con didattica alternata in presenza e a distanza. Una soluzione mista può essere sicuramente utile per affrontare entrambi i bisogni. Quello sanitario della comunità, che ovviamente c’è ancora, ma anche quello di socialità dei ragazzi. I giovani sono i più colpiti dalle limitazioni, molto più degli adulti. Non è solo la didattica, gli sono stati tolti tutti gli spazi vitali: l’attività motoria e sportiva, la vita in gruppo, il ritrovarsi assieme. Questi sacrifici avevano un motivo preciso, naturalmente, ma non vanno dimenticati né sottovalutati».