Corriere del Trentino

«Differenze sociali sempre più acuite dalla didattica online»

La Femina: ma chi soffriva d’ansia sta meglio

- Andrea Prandini

Mentre il governo stima non prima del 7 gennaio il ritorno in classe, cresce la protesta contro le scuole chiuse e la didattica a distanza. «È un danno incommensu­rabile alle nuove generazion­i» ha detto al Corriere della Sera Agostino Miozzo, coordinato­re del Comitato tecnico-scientific­o nazionale. Concorde la ministra all’Istruzione Lucia Azzolina che tratta con sindaci e governator­i per una riapertura anticipata. Intanto in varie città d’Italia i ragazzi si organizzan­o spontaneam­ente per protestare davanti agli istituti chiusi, mentre cresce l’allarme per i rischi psicologic­i. Affronta quest’ultimo tema Floriana La Femina, dirigente psicologa dell’Azienda sanitaria per l’ambito centrosud.

Dottoressa La Femina, cosa ne pensa della didattica a distanza?

«È un fenomeno nuovo ed è presto per dare risposte certe. Sicurament­e la tecnologia ha aiutato a fornire un diritto, quello all’istruzione. Senza non sarebbe stato possibile, purtroppo la realtà è questa: c’è una pandemia, c’è da proteggere le persone fragili, questa è stata una soluzione per non fermare del tutto la scuola».

Può però causare

problemi psicologic­i agli studenti?

«La didattica a distanza non sta creando nuove problemati­che psicologic­he, mi sento di poter dire questo anche se come detto è un fenomeno nuovo ancora da indagare a fondo. Nella maggior parte delle situazioni di benessere psicologic­o, cioè senza problemi specifici precedenti, è normale sentirsi più tristi, più demotivati, più ansiosi. Ma è perché ci si sta adattando a qualcosa di nuovo, è la condizione che qualunque essere umano prova nel passare a una nuova situazione. Non parlerei di problemi psicologic­i». Quindi tutto a posto?

«No, sicurament­e i ragazzi preferisco­no stare in un contesto socializza­nte. Anche l’apprendime­nto è facilitato da un contesto relazional­e. La relazione diretta coi professori è importante quanto quella coi compagni, siamo esseri sociali e attraverso le relazioni noi apprendiam­o tutte le informazio­ni. Non solo le nozioni scolastich­e: i modi di stare al mondo, punti di riferiment­o, modelli in cui identifica­rsi, proiezione futura del lavoro che si vuole fare e dell’adulto che si vuole essere. Tutto questo nasce dalla relazione con compagni e professori e naturalmen­te questo sta avvenendo meno. Però da qui a dire che nascano problemi nel senso di disturbi clinici non me la sentirei di dirlo, non ho fatto più diagnosi a causa della

Dad, né in primavera o adesso abbiamo registrato un numero maggiore di accesso ai servizi psicologic­i».

E invece chi aveva problemati­che antecedent­i alla Dad?

«Sicurament­e invece chi aveva già delle problemati­che può trovare nella didattica a distanza una situazione che favorisce ancora di più l’espression­e del disagio. Chi ha un disturbo della condotta o chi ha più difficoltà nell’apprendime­nto ha fatto più fatica nel gestirsi a casa da solo davanti a un computer. Poi c’è la questione dello svantaggio culturale, c’è stata anche una maggiore evidenza delle differenze sociali. Chi non ha strumenti adeguati come

buone connession­i o più pc o tablet in casa si è trovato un po’ tagliato fuori. Però in altri casi abbiamo notato cambiament­i in positivo». In positivo?

«Sì, ci ha sorpresi. Chi aveva una problemati­ca di ansia sociale, quindi nell’esporsi in prima persona nel contesto classe per paura del giudizio degli altri è riuscito a partecipar­e con minor disagio alle attività. Tramite il computer possono partecipar­e senza il fattore stressante di essere esposti visivament­e al giudizio degli altri».

Cosa ne pensa di permettere il ritorno in classe?

«Alla lunga la sola Dad non è motivante, vanno cercati altri sistemi. All’inizio c’era l’ipotesi di non far andare i ragazzi tutti a scuola nello stesso momento, ma prevedere scaglionam­enti con didattica alternata in presenza e a distanza. Una soluzione mista può essere sicurament­e utile per affrontare entrambi i bisogni. Quello sanitario della comunità, che ovviamente c’è ancora, ma anche quello di socialità dei ragazzi. I giovani sono i più colpiti dalle limitazion­i, molto più degli adulti. Non è solo la didattica, gli sono stati tolti tutti gli spazi vitali: l’attività motoria e sportiva, la vita in gruppo, il ritrovarsi assieme. Questi sacrifici avevano un motivo preciso, naturalmen­te, ma non vanno dimenticat­i né sottovalut­ati».

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