Nuova Agenzia della giustizia, più attenzione al pluralismo
Fra le prerogative di ogni Comunità civile vi è il garantire (al meglio) i servizi pubblici essenziali. Perciò, la salubrità sociale (sinonimo di equità sociale) non può prescindere dall’efficienza di quei tipici strumenti tesi a dar sostanza a tre diritti fondamentali che, in modo più marcato di altri, connotano le fondamenta del nostro Stato costituzionale di diritto. Nel mantra del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione.
Sanità, Istruzione e Giustizia. «Luoghi» diversi, al tempo stesso cruciali. In cui l’oggettiva capacità di dare risposte al cittadino è, per ogni ordinamento, simbiotica cartina tornasole delle acquisizioni culturali e, fatto certamente più rilevante, dell’effettivo suo grado di affidabilità democratica.
Una consapevolezza condivisa. Nell’interesse collettivo; quindi, nell’interesse del singolo. Per il nostro presente e per il futuro dei nostri figli. Né, diversamente dovrebbe essere, pena rimanere vittime di vuote, gattopardesche, iperboli retoriche, funzionali alla mera ricerca di un effimero (inconcludente, nocivo) consenso politico. Garantire — in concreto — i servizi pubblici essenziali significa assicurare standard di qualità congrui quantomeno alle aspettative del cittadino.
È tale la necessità di efficienza di questi servizi, da dover esser prioritariamente salvaguardata (soprattutto) in epoche — come questo presente — difficili, dolenti, spaesanti. Anche per evitare che la credibilità delle istituzioni, già logorata da ricorrenti esempi tossici, sia definitivamente umiliata, smarrendo il cittadino nella deriva di un tempo e di uno spazio «senza guida».
Quanto alla Giustizia, la nostra Autonomia, forte di una solida autorevolezza e di un marcato grado di coscienza civile, con lungimirante responsabilità politica, nel 2017 aveva concluso un accordo con lo Stato assumendo – prima volta in Italia – una storica delega di funzioni dell’attività amministrativa e organizzativa di supporto agli Uffici giudiziari. Un nuovo passo che seguiva (almeno per la Provincia di Trento) l’edificazione del carcere, in via Beccaria. Pagato dall’ente locale, consegnato allo Stato «chiavi in mano», nel meritorio fine (per la salubrità sociale) di concorrere all’agognata attuazione dell’articolo 27 della Costituzione.
Un progetto ambizioso, la delega, che a distanza di tre anni, rispetto all’interesse del cittadino, non ha palesato i risultati auspicati. Per la compresenza di fattori critici che progressivamente hanno indebolito, in direzione contraria agli intenti, l’efficienza di cui la Giustizia regionale era riconosciuta espressione. Un indebolimento (al netto dell’emergenza Covid che ne ha comunque acuito i connotati), di cui gli operatori hanno condivisa consapevolezza.
Da un lato, un approccio dell’ente locale non puntuale (sottovalutante) nella programmazione di un’agenda di interventi già noti nel 2017 (primo fra tutti quello relativo all’immissione in modo strutturato di nuovo personale in grado di «coprire» numerosi pensionamenti). Dall’altro lato, in modo più malizioso, da parte di alcuni, una sorta di ostruzionismo burocratese (per il fallimento del progetto?) enfatizzante i limiti della sinergia che, in nome della delega, si costruiva fra Stato e Regione. Purtroppo, a parziale detrimento dei meritori sforzi profusi dai vertici degli Uffici giudiziari regionali.
Un indebolimento progressivo dall’Avvocatura regionale più volte segnalato «in presa diretta», nell’interesse del cittadino.
Ora, è notizia dell’intenzione della Regione di istituire l’Agenzia regionale della Giustizia. Una notizia importante. Svela la necessità non più procrastinabile di invertire la rotta. Un’Agenzia (immagino, per non cadere in inconcludenti iperboli retoriche) capace di esser autenticamente operativa, per recuperare il gap negativo prodotto, per poi acquisire ulteriori efficienze, così anche da mostrarci (per l’Autonomia virtuosa di cui siamo espressione) esempio per il territorio nazionale.
Peraltro, per la messa a fuoco delle priorità, l’analisi del contingente (e delle carenze) è presupposto indefettibile. In tal senso, le competenze tecniche di cui gli operatori della Giustizia dispongono (avvocati, magistrati e funzionari) sono irrinunciabili.
Stride, quindi, l’evidenza di come – nella legge regionale di stabilità – la composizione del cda della costituenda Agenzia patirebbe una generica parzialità di apporto di competenze tecniche. È noto. l’Avvocatura, per la funzione sociale che rappresenta soprattutto nella giurisdizione, è diretta espressione del cittadino. Garante del pluralismo democratico, è attore della giustizia (al pari della magistratura). La competenza tecnica che esprime nel comprendere, valutare l’effettivo grado di efficienza (e affidabilità democratica) degli Uffici giudiziari è patrimonio insostituibile. Di questa consapevolezza lo stesso legislatore nazionale ha dato prova, pretendendo progressivamente la presenza di avvocati in organismi della giurisdizione. Come per i Consigli giudiziari.
Concepire un’Agenzia della Giustizia senza la compresenza dell’Avvocatura significherebbe costituire, in sé, un organismo claudicante, privandosi del confronto di chi, in modo complementare alla magistratura, è espressione (per le proprie tipiche, costituzionali, prerogative e funzioni) di una voce infungibile.
Se dunque, nell’agire del decisore regionale, vi è autentica volontà di comprendere i problemi della giustizia territoriale, l’auspicio è che si completi la composizione degli organi rappresentativi dell’Agenzia, garantendo il pluralismo delle competenze professionali proprie della giurisdizione.
Solo assicurando una piena dialettica si potrà ottenere l’auspicato obiettivo. Non è questione di protagonismi. Semplicemente di condivisi scopi di risultato.