La «danza macabra» dei Baschenis nelle Giudicarie
La chiesa di San Vigilio a Pinzolo è nota per il celebre affresco della Danza macabra, risalente al 1539, opera di Simone Baschenis. Il dipinto è sul muro esterno rivolto verso il cimitero: è quindi ben visibile ai passanti oggi come allora e in questi 500 anni si è conservato al meglio, ben protetto sotto la tettoia.
Se la Danza macabra è sicuramente l’affresco più conosciuto ai non addetti ai lavori, non è certo l’unico: i Baschenis erano infatti un’intera famiglia di frescanti provenienti dalla bergamasca, ottennero diverse commissioni in tutta la val Rendena e più in generale nelle Giudicarie. «Ma si spinsero fino in val del Noce e giù nella valle dei Laghi — spiega Giuseppe Ciaghi, storico trentino che ben conosce la loro storia — Dei Baschenis abbiamo due ceppi familiari: la dinastia dei Lanfranco e quella dei Cristoforo. La seconda è stata quella più attiva tra la val Rendena e la valle del Chiese. È stato proprio Cristoforo a dipingere già nel 1474 l’affresco di Sant’Antonio Abate, sopra la porta della chiesa di Pelugo».
I Baschenis si spostarono dalla valle Averara — una laterale della val Brembana dove risiedevanoe attraverso il Tonale arrivarono in Trentino: fu un viaggio importante, per «ampliare il loro mercato», come si direbbe oggi. Le prime opere risalgono al 1461, quando Antonio affrescò la chiesa di Santo Stefano a Carisolo con un ciclo comprendente un’Ultima cena, due Madonne in trono con Bambino e varie altre figure di santi tra cui San Giorgio e il drago. «Erano lavoratori stagionali. Arrivavano con la bella stagione, non appena la primavera lo concedeva, iniziavano i lavori e rimanevano fino all’autunno. Non è un caso che la Danza macabra sia stata conclusa a fine ottobre. Di volta in volta completavano l’opera commissionata e poi tornavano nella loro terra d’origine per l’inverno. Esercitarono per circa un secolo, gli ultimi dipinti sono del 1557. Successivamente ritroviamo un loro discendente, Evaristo Baschenis, che abbandonò la tradizione delle opere a fresco per riprodurre nature morte e divenne molto famoso e apprezzato; ma operò nel bergamasco, mai da noi».
I Baschenis esercitavano su mandato, in territori come le Giudicarie che risentivano fortemente dell’influenza del Vescovado: principalmente erano le comunità ad attribuire loro gli incarichi. I frescanti dovevano dipingere storie di santi che potessero raccontare agli illetterati episodi significativi delle loro viti, a fini didattici. «Attraverso quei dipinti il clero mandava messaggi, anche di carattere politico. Per esempio a Lodrone, sulla parete ovest della chiesa dell’Annunciazione, venne affrescata una madonna con bambino e San Simonino, il martire che la leggenda raccontava fosse stato ucciso dagli ebrei. I Baschenis — come altri frescanti — contribuivano a portare una visione del mondo originata nelle città e che veniva diffusa anche nelle più lontani valli montane».
Cambiando esempio «un affresco come la Danza macabra incuteva un forte timore fin dalla prima scena: si vedono tre scheletri musicanti, uno seduto su un trono, cinto da una corona e intento a suonare la cornamusa: è la Morte Sovrana. Il diavolo e il Signore si contendono le anime, ma la Morte Sovrana è superiore a tutti, persino la volontà divina deve sottostarle. Era stata affrescata sulla facciata verso il cimitero, direttamente rivolta ai visitatori del camposanto. Il dipinto è accompagnato dai versi del componimento in volgare, ma il messaggio arrivava benissimo anche senza bisogno di una lettura».
I dipinti contribuivano con un significato di memento mori a mantenere l’ordine sociale esistente, ricordando alla popolazione la natura terrena dell’uomo, con tutti i suoi limiti «e per dare maggiore veridicità alle loro storie, gli artisti affrescavano spesso le vicende sacre su sfondi locali. Il primo dipinto del gruppo di Brenta arrivato a noi è proprio quello della chiesa di Pelugo. Erano elementi che avevano una forte presa sulla gente. Tra le montagne che appaiono negli affreschi viene raffigurato anche il Calisio. Ampliando il discorso, il martirio di San Vigilio viene tramandato come avvenuto a Spiazzo. Collocare queste storie in un preciso contesto geografico locale le rendeva più credibili per la popolazione».
Artigiani o artisti? I Baschenis avevano una piccola bottega a Bergamo, facevano un mestiere imparato con fatica, tramandato di generazione in generazione. La loro opera, dai colori vivi e mossa dall’intento di risultare subito di facile comprensione, evidenzia delle evoluzioni nel corso degli anni, frutto di una tradizione familiare che cercava di aggiungere costanti migliorie. Ma il mestiere dei frescanti era anche un lavoro fisico, molto duro e svolto spesso all’aperto, su impalcature precarie e in posizioni scomode. I Baschenis passavano mesi lontano dalla propria dimora, per poi tornare quando era inverno. «Le stagioni al tempo imponevano il calendario a molte professioni. Pensate ai segantini, che rispetto ai frescanti facevano l’inverso: in autunno partivano dalle nostre valli per il mantovano e tornavano a fine inverno».
Giuseppe Ciaghi
I Baschenis — come altri frescanti — contribuivano a portare una visione del mondo originata nelle città e che veniva diffusa anche nelle più lontani valli montane