LA SOCIETÀ POST FAMILIARE
Cinquant’anni fa la legge sul divorzio. Era il primo dicembre 1970, un momento storico piuttosto irruento dal punto di vista delle passioni ideologiche e politiche. Fu ovviamente così anche per il divorzio, che venne alla luce in un clima di polemiche che lo accompagnarono fino al bollente referendum del 1974.
Tra gli antidivorzisti vi fu chi definì il divorzio con toni apocalittici: «una variante dell’harem diluita negli anni». La realtà andò diversamente, per più motivi.
La prima è che lo scioglimento del matrimonio introdotto nel 1970 fu un provvedimento piuttosto restrittivo − erano richiesti cinque anni di separazione legale − soltanto in parte ispirato al principio del divorzio-rimedio, poiché in caso di mancato accordo tra le parti il divorzio era concesso unicamente in presenza di un coniuge «colpevole». Inoltre le rotture coniugali, malgrado la legge sul divorzio, furono a scoppio ritardato, dato che negli anni settanta ed ottanta rimasero contenute per decollare poi alla fine degli anni novanta. Nel tempo i divorzi hanno cambiato (giuridicamente) pelle snellendosi notevolmente grazie a due leggi che hanno permesso il ricorso ad accordi extragiudiziali e l’accorciamento dei tempi che intercorrono tra la separazione ed il divorzio (il cosiddetto divorzio breve). Paradossalmente i divorzi fanno crescere i matrimoni – i secondi matrimoni – soprattutto da parte degli ex mariti che ritentano così l’avventura coniugale.
Il tutto in un quadro più vasto in cui però è il matrimonio stesso a subire nel tempo una erosione vistosa, una erosione che porterà ad una consequenziale caduta di separazioni e divorzi. Più importante è chiedersi se in questo ultimo mezzo secolo nello stare insieme, nel fare famiglia sia aumentato il grado di benessere se non di felicità di coppia. Ora i tassi di conflitto, di violenza e di femminicidio che la cronaca ci consegna pone qualche dubbio sul fatto che sia cresciuta negli anni la maturità affettiva e coniugale. Anzi, c’è chi sostiene che viviamo oggi in una «società postfamiliare»: l’espressione forte sta nel titolo del Rapporto 2020 del Centro internazionale studi sulla famiglia (edizioni San Paolo), che mostra come oggi la famiglia – quella che per inerzia chiamiamo tradizionale – sia divenuta minoritaria, sia nei comportamenti sia nelle visioni della vita. Infatti per sei giovani su dieci – scrive il Rapporto «tutte le forme possibili di relazioni sono espressione di famiglia», mentre il nove per cento dice addirittura che niente è famiglia. Oggi la «società post-familiare» è quella che velocemente compone, scompone e ricompone un variegato caleidoscopio di relazioni tutte definite sbrigativamente familiari. Per cui le rumorose polemiche di cinquant’anni fa sul divorzio suonano ormai lontane ed anacronistiche. Altri tempi.