Corriere del Trentino

«Ristori? Il 30% del fatturato»

Comparto sci, la proposta della Provincia. Nuova ordinanza: via mascherina all’aperto

- Marika Giovannini

In attesa di conoscere il contenuto del nuovo dpcm, la Provincia mette in fila le proposte per il mondo dello sci. Che, se non dovesse riaprire a Natale, avrà bisogno di aiuto. «Sarebbero accettabil­i ristori pari al 30% del fatturato del dicembre 2019» chiarisce l’assessore Roberto Failoni, che punta l’attenzione anche sul nodo dei lavoratori. Intanto ieri il governator­e Maurizio Fugatti ha tolto le ulteriori limitazion­i adottate a novembre: niente più mascherine obbligator­ie all’aperto.

L’assessore: «Gli stagionali troveranno lavoro altrove» Ghezzi: «Così si rischia di spopolare le zone montane»

TRENTO Roberto Failoni non si dà ancora per vinto: finché il nuovo dpcm non sarà cosa fatta — la firma dovrebbe avvenire in giornata — l’assessore provincial­e fa capire di non considerar­e ancora persa quella «battaglia» avviata insieme ai colleghi dell’arco alpino (ai quali si è aggiunto anche l’assessore dell’Abruzzo) per «salvare» la stagione turistica nel periodo natalizio. «Vediamo come andrà in queste ore — dice —, nessuno ha in mano il testo». Ma se la linea del governo non dovesse cambiare — e tutto lascia presagire che non ci saranno colpi di scena — l’assessore ribadisce quanto già chiarito martedì dal governator­e Maurizio Fugatti: «Dovranno essere previsti ristori in percentual­e al fatturato del 2019 per tutte le aziende e per i lavoratori del settore». Un meccanismo alla tedesca invocato anche dal governator­e veneto Luca Zaia e ripreso dal presidente degli impiantist­i di Confindust­ria Luca Guadagnini. «Nessuno però — ammette Failoni — si aspetta che in Italia si possano raggiunger­e le percentual­i tedesche». Che sfiorano l’80% del fatturato dello stesso periodo dello scorso anno. «I trentini si accontente­rebbero anche di quote più basse» assicura l’assessore. Che abbozza una «percentual­e accettabil­e»: «Il 30% potrebbe già andare bene». Ma non bastano i ristori, secondo Failoni. «La montagna — tuobarde na — chiede una prospettiv­a seria. Chiede date precise». Cosa che finora, prosegue l’esponente leghista, «il governo non ha dato». «Il ministro Speranza, nell’incontro di martedì con le Regioni — ricorda l’assessore — ha fissato tre aspetti fondamenta­li per fermare il contagio: lo stop agli spostament­i, alla vacanza in montagna e alla circolazio­ne a Natale e Capodanno. Se fossimo certi di bloccare l’evoluzione del contagio con queste tre mosse, allora saremmo i primi a volerci fermare». Ma i dubbi rimangono. Uniti al fatto che «quest’estate abbiamo dimostrato di essere in grado di applicare protocolli rigidi».

C’è poi un altro tema delicato. E riguarda i lavoratori, stagionali soprattutt­o, che verrebbero coinvolti anche se si permettess­e l’apertura degli alberghi durante le vacanze ma con i confini regionali chiusi: «Il Trentino è un territorio molto piccolo rispetto a Veneto e Lombardia. E questo fa la differenza: dalle città venete e lomc’è molta gente che si sposta in montagna, nella stessa regione, a fare la vacanza. Magari ha la seconda casa lì. In Trentino non è così». In queste località, quindi, ci sarebbe una maggiore richiesta di forza lavoro specializz­ata per alberghi e ristoranti. E con una stagione al palo in provincia, il rischio è che molti stagionali decidano di spostarsi altrove per poter lavorare. «Persone che — dice Failoni — non torneranno in Trentino a metà gennaio». Creando ulteriori difficoltà alle strutture ricettive locali. Non solo: anche gli stagionali degli impianti, altamente specializz­ati, potrebbero trovarsi un’altra occupazion­e vista la chiusura dello sci. «È forza lavoro che rischiamo di perdere» allarga le braccia l’assessore.

A gennaio, poi, si riaprirà con tanti punti interrogat­ivi. E con il timore, espresso dagli albergator­i, di affrontare una stagione troppo debole per poter decollare. «Sappiamo che sarà in perdita, ma l’importante è lavorare» cerca di rincuorare il settore Failoni. Che avanza qualche proposta: «Si potrebbe pensare a vacanze scolastich­e scaglionat­e per regioni in modo da aiutare il turismo di montagna. Sperando che, da metà gennaio, qualche Paese apra i confini e qualche straniero arrivi».

Ma a rivolgere un appello al governo sono anche gli impiantist­i. «Noi — sottolinea Valeria Ghezzi, presidente di Anef (l’associazio­ne esercenti funiviari) — non chiediamo di aprire domani mattina con 600 morti al giorno. Però la nostra attività non si apre girando una chiave e necessita di programmaz­ione. Se ci dicono di aprire il 15 gennaio, dobbiamo saperlo almeno un mese prima per avviare la parte tecnica. Abbiamo

capito che non si apre a Natale, ma abbiamo bisogno di una data certa per aprire a gennaio o di una certezza sulla non apertura, per evitare di affrontare a vuoto ulteriori spese». C’è poi il nodo degli altri Paesi europei: «L’apertura eventuale degli impianti in Svizzera e Austria (quest’ultima aprirà solo per i residenti, ndr) ci creerebbe un danno importante, perché noi quest’anno potremmo puntare solo sulla clientela italiana e rischiamo che il 35% di chi sarebbe venuto da noi si sposti all’estero e non è detto che torni in Italia l’anno prossimo». Infine il nodo lavoratori. Già sollevato da Failoni. Con due riflession­i. La prima: «Il rischio è che i lavoratori abbandonin­o le comunità montane per cercare lavoro altrove, spopolando questi luoghi». La seconda: «Il nostro settore fattura 1,2 miliardi all’anno, di cui 400 milioni arrivano dal periodo natalizio. Abbiamo 15mila dipendenti, di cui 5mila a tempo indetermin­ato e 10mila stagionali. Per i primi ci può essere la cassa integrazio­ne, per i secondi non c’è alcuna tutela. Con l’indotto si arriva a un fatturato di 11 miliardi, con oltre 120mila dipendenti e la percentual­e di stagionali aumenta fino all’80%. Parliamo di famiglie intere che lavorano nel settore e rischiano di restare senza reddito».

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