QUELLA CONDANNA GIÀ SCRITTA
Gli interrogativi del giorno dopo: perché Lorenzo Cattoni ha potuto avvicinarsi a Deborah Saltori colpendola a morte con un’accetta? Perché non gli è stato impedito in virtù anche di una serie di episodi violenti molto circonstanziati? Perché si trovava ai domiciliari e non in carcere? Parole e dubbi che rimangono sospesi a mezz’aria, in cerca di un approdo. Domande incalzanti davanti a una donna, l’ennesima, uccisa dal marito. Dalla mano di colui che dovrebbe proteggerla e invece le strappa la vita. Il femminicidio di Cortesano racconta una storia se vogliamo già nota. La trama si specchia in una quotidianità che purtroppo sta diventando ripetitiva nel suo incedere. Succede a ogni latitudine, a nord come a sud.
Lunedì l’atrocità umana ha deciso di fermarsi sopra Trento, in un sobborgo di poche anime. Dove tutti sapevano. E tutti temevano. E tutti oggi affermano che se lo aspettavano. Perché allora quell’uomo ha potuto avvicinarsi a Deborah? La domanda torna prepotente. Qualcuno proverà a dare una risposta e la risposta muoverà anche da presupposti che potrebbero avere una loro consistenza.
Ma il vento della realtà ci spinge con forza in un’altra direzione: nel baratro della follia. Dentro un «messaggio trappola» che parlava di un assegno. Un miraggio per Deborah, una piccola luce in fondo al tunnel. Una scialuppa di salvataggio per lei, disoccupata, e per i quattro figli. Ma quell’assegno, alla fine, si è rivelato una condanna a morte. Una condanna già scritta.
La politica in queste ore s’interroga, è il suo compito. E scorrono i nomi e i volti di quelle donne che il Trentino ha perso per colpa di una violenza cieca. Una quindicina in vent’anni, tra queste: Agitu Gudeta, Eelonora Perarro, Alba Chiara Baroni, Carmela Morlino, Lucia Bellucci, Laura Simonetti. La stessa politica, attraverso i propri strumenti meritori, ci informa come la nostra piccola realtà non sia immune alla violenza di genere. C’è sempre stata. Per molto tempo è rimasta però nascosta. Perché scomoda, visto che entra nelle casa mettendo a soqquadro esistenze, cancellando certezze.
Questo, allora, è un problema anche nostro, non solo degli altri. I numeri come spesso accade parlano un linguaggio crudo. In Trentino nel 2019 (i dati sono stati presentati il 24 novembre scorso, alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne) sono state raccolte 676 schede complessive (429 denunce e 247 procedimenti di ammonimento) per un totale di 793 reati segnalati, evidenziando una sostanziale stabilità del dato rispetto al 2018 (696 schede e 834 reati). In media, si sono avuti 3,7 denunce e procedimenti di ammonimento ogni 1.000 donne tra i 16 e i 64 anni residenti in provincia. Per avere un quadro maggiormente dettagliato, basti dire che i casi segnalati sono stati 51,3 al mese pari a 1,7 ogni giorno. I dati confermano che la violenza di genere, nella grande maggioranza dei casi, riguarda la rete di relazione più vicina alle vittime, se non la più intima. Nell’85,7%, infatti, il presunto autore è un uomo che proviene dal contesto familiare, relazionale o lavorativo delle donne.
Dare risposte davanti all’incalzare delle cifre è complicato. Guai però ad abdicare. Si provi a ripartire dal basso, da una sorta di «transizione culturale». Si lavori sulla prevenzione raccontando ai giovani le storie delle vittime che possono essere le loro mamme, le loro sorelle, le loro amiche. Si educhi al sentimento l’uomo, incapace di accettare la sconfitta o la libertà di una donna. Si chieda alla giustizia di essere maggiormente inflessibile senza però appaltare ai magistrati ogni responsabilità. Si prenda atto infine che questo è un male che cova dentro una società viva, espressione di un territorio considerato protetto, con un buon tenore di vita. Iconografia che ci arriva dal passato, che resiste e resisterà pure in futuro. Va però ricalibrata. Perché si cambia: come singoli e come comunità. Prenderne atto potrebbe già essere un buon inizio. Un modo per avviare una rivoluzione di genere che non può essere dettata unicamente dalle leggi. Il cambio di passo deve arrivare da una presa di coscienza motivata e convinta. Difficile, non impossibile.