Il papà di Alba Chiara: mi sono cadute le braccia
Il papà di Alba Chiara: «Quando ho saputo di Deborah mi sono cadute le braccia. Ancora?»
Il dolore I primi due anni dopo l’uccisione di Alba Chiara ero sotto choc. Ora più il tempo passa e più aumenta il dolore per l’assenza
Rossella Mi ha colpito in questi giorni anche l’omicidio di Rossella a Bondeno. Eravamo stati lì con il Progetto Alba Chiara
Inferno I figli di Deborah hanno già dovuto subire un inferno: spero che trovino un ascolto quando il dolore crescerà
«Quando ho saputo dell’assassinio di Deborah mi sono cadute le braccia. Ancora una volta». Massimo Baroni è il papà di Alba Chiara, la giovane di 22 anni uccisa dal fidanzato Mattia Stanga il 31 luglio del 2017. Mentre parla è nel giardino della casa di Tenno, dove si sta trasferendo con la moglie e la figlia Aurora, lasciando le stanze dell’abitazione vissuta con Alba Chiara: pota un glicine, forse metafora di una primavera attesa e che non arriva. Un tempo che consenta di uscire dall’apnea del dolore. «Sa, i primi due anni ero sotto choc. Poi più il tempo passa più il dolore aumenta». Varrà anche per i ragazzi di Deborah Saltori, privati della madre dalla violenza del marito, Lorenzo Cattoni lunedì pomeriggio, nei pressi di Vigo Meano? «Spero trovino qualcuno con cui parlare e sfogarsi: hanno già vissuto un inferno». Eh sì perché per Massimo il problema è a monte: «La violenza non ci deve proprio essere: solo portando questo messaggio nelle scuole, fin dall’asilo e alle elementari, potremo cambiare qualcosa» afferma.
Massimo Baroni, ci risiamo, un’altra uccisa dal suo ex compagno. Cosa ha pensato?
«Guardi, in realtà parlerei di due casi, per quanto mi riguarda: nel paesino del ferrarese, Bondeno, dove è stata uccisa Rossella Placati qualche giorno fa, eravamo stati con il Progetto Alba Chiara, ci eravamo andati per portare la nostra testimonianza. Mi sono cadute le braccia. Continuiamo a dire e ripetere che non bisogna fare violenza e che la vita è il bene più prezioso eppure...».
Quindi ripeterlo serve oppure no?
«Una volta un ragazzino di una scuola mi disse: “Affermare che non bisogna essere violenti è ovvio, è come dire che l’acqua è bagnata”. Ma evidentemente non è così. E allora bisogna insistere. E sono gli uomini a dover parlare di femminicidio, non le donne, che lo subiscono. Purtroppo, a parte coloro che ricoprono cariche istituzionali e che devono parlarne per forza, ci sono pochissimi uomini che lo fanno: il problema è che noi uomini siamo cresciuti con valori sbagliati. Mi rendo conto che non sia facile accettare di dover rinnegare quello che i nostri nonni ci hanno tramandato, ma se in Italia ci sono così tanti femminicidi qualcosa hanno sbagliato».
E quindi l’educazione è la via maestra?
«È fondamentale tornare nelle scuole a parlare di queste cose, il Covid ce lo impedisce da un anno ormai. E trovare un modo intelligente e valido per farlo anche all’asilo e alle elementari. Quando un ragazzo arriva alle superiori, dove abitualmente andiamo ora, la sua personalità è già formata».
La giustizia può fare qualcosa di più: nel caso di Deborah l’uomo che l’ha ammazzata era già ai domiciliari, a dimostrazione di una situazione molto grave.
«Io non sono un esperto in materia ma posso dire che il problema non è l’uccisione, ma la violenza: la donna non deve subire violenza, punto».
I figli di Deborah da lunedì fanno i conti con una perdita immensa, lei questa strada l’ha già percorsa: si sentirebbe di dare loro un consiglio?
«Mi sta chiedendo la cosa più difficile del mondo: penso che meritino rispetto. Hanno già dovuto subire, credo, un inferno con le violenze cui assistevano. All’inizio si è sotto choc, io i primi due anni ero incapace di realizzare. I problemi arrivano più tardi, con la consapevolezza, e il dolore aumenta. Spero trovino qualcuno che li ascolti, qualcuno con cui parlare e che stia loro vicino».