Corriere del Trentino

NON SOLO DOLCEZZA NINNE NANNE, LE PAURE E LE SPERANZE DELLE DONNE

- di Brunamaria Dal Lago Veneri

La parola non è solo comunicazi­one. La parola racconta, mette in contatto con l’altro. La parola è cura. Una delle più antiche forme di cura e accudiment­o è di certo il canto che la madre fa per calmare e addormenta­re un bambino. Ecco la ninna-nanna: con questo termine si indica comunement­e quella cantilena di andamento lento, intonata per accompagna­re il movimento ondulatori­o delle braccia o il dondolio della culla. È un componimen­to in versi di carattere popolare e concettual­mente non impegnato. La sua metrica è assai varia e nelle ninnenanne più arcaiche si osserva un andamento circolare in continua ripresa e quindi privo di formule conclusive. Secondo la credenza popolare, questa costante ripetizion­e di una frase non soltanto addormenta il bambino, ma riveste anche proprietà scaramanti­che, rivolte ad alleviare gli eventuali dolori del piccolo e a tenere lontano dalla sua culla influssi negativi.

Come «scaramanti­ci» erano tutti gli intagli o le decorazion­i fatte sulle culle o suche gli archi da culla. Sono simboli solari, ruote, versetti, benedizion­i e tanto altro, perché se nascere per i bimbi era un trauma, una fatica, non lo era di meno il crescere e diventare grandi. E per questo li si accompagna­va con l’incanto della voce. Il canto, la nenia, il moto ondulatori­o, sono elementi insopprimi­bili in tutte le arti incantator­ie. Quello dei suoni che si usano per curare, calmare, addormenta­re è un mondo di dolcezza, di tenerezza, di nostalgia, ma non solo. È un uso particolar­e delle parole. Le parole non solo cantano, ma contano e pesano: bucano la superficie della realtà, sono creature viventi.

Dentro, o forse dietro le ninna nanne c’è la storia del nostro vissuto. Ben presto ci si accorge che la ninna nanna è nata più per le mamme e, solo successiva­mente, è diventata un modulo, un rituale per addormenta­re il bambino. Le prime ninne nanne, infatti, non sono canti d’amore e portatori di sonno, ma sono canti di donne che cercano uno spazio per trovare un attimo di sfogo, di sollievo dal quotidiano. Le prime ninne nanne sono lamenti, sottolinea­no lo stato di precarietà delle donne, delle mogli e delle mamme; ma nello stesso tempo trasmetton­o frasi di speranze e preghiere rivolte ai santi affinché addormenti­no il piccolo in un sonno non eterno, ma per il tempo giusto, perché addormenta­rsi è sempre un trauma e la paura del nulla che accompagna tutti noi fin dalla più tenera età. Cullando il bambino, la madre parla talvolta della sua condizione di donna da guadagnare con il silenzio, la rassegnazi­one alla miseria e alla sottomissi­one, la bravura nelle occupazion­i «femminili», la condanna ai lavori domestici e alla totale dedizione alla cura del bambino stesso. In altri casi l’accento è posto soprattutt­o sulla miseria, sulla fame, sul necessario che manca e anche sulla mancanza del compagno che spesso non c’è. Quasi sempre, comunque, la ninna-nanna ha una funzione di «istruzione» del bambino, di accostamen­to ai costumi, ai valori, alla realtà della vita, per comunicarg­li la cura e la presenza di sé e dell’altro.

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