NON SOLO DOLCEZZA NINNE NANNE, LE PAURE E LE SPERANZE DELLE DONNE
La parola non è solo comunicazione. La parola racconta, mette in contatto con l’altro. La parola è cura. Una delle più antiche forme di cura e accudimento è di certo il canto che la madre fa per calmare e addormentare un bambino. Ecco la ninna-nanna: con questo termine si indica comunemente quella cantilena di andamento lento, intonata per accompagnare il movimento ondulatorio delle braccia o il dondolio della culla. È un componimento in versi di carattere popolare e concettualmente non impegnato. La sua metrica è assai varia e nelle ninnenanne più arcaiche si osserva un andamento circolare in continua ripresa e quindi privo di formule conclusive. Secondo la credenza popolare, questa costante ripetizione di una frase non soltanto addormenta il bambino, ma riveste anche proprietà scaramantiche, rivolte ad alleviare gli eventuali dolori del piccolo e a tenere lontano dalla sua culla influssi negativi.
Come «scaramantici» erano tutti gli intagli o le decorazioni fatte sulle culle o suche gli archi da culla. Sono simboli solari, ruote, versetti, benedizioni e tanto altro, perché se nascere per i bimbi era un trauma, una fatica, non lo era di meno il crescere e diventare grandi. E per questo li si accompagnava con l’incanto della voce. Il canto, la nenia, il moto ondulatorio, sono elementi insopprimibili in tutte le arti incantatorie. Quello dei suoni che si usano per curare, calmare, addormentare è un mondo di dolcezza, di tenerezza, di nostalgia, ma non solo. È un uso particolare delle parole. Le parole non solo cantano, ma contano e pesano: bucano la superficie della realtà, sono creature viventi.
Dentro, o forse dietro le ninna nanne c’è la storia del nostro vissuto. Ben presto ci si accorge che la ninna nanna è nata più per le mamme e, solo successivamente, è diventata un modulo, un rituale per addormentare il bambino. Le prime ninne nanne, infatti, non sono canti d’amore e portatori di sonno, ma sono canti di donne che cercano uno spazio per trovare un attimo di sfogo, di sollievo dal quotidiano. Le prime ninne nanne sono lamenti, sottolineano lo stato di precarietà delle donne, delle mogli e delle mamme; ma nello stesso tempo trasmettono frasi di speranze e preghiere rivolte ai santi affinché addormentino il piccolo in un sonno non eterno, ma per il tempo giusto, perché addormentarsi è sempre un trauma e la paura del nulla che accompagna tutti noi fin dalla più tenera età. Cullando il bambino, la madre parla talvolta della sua condizione di donna da guadagnare con il silenzio, la rassegnazione alla miseria e alla sottomissione, la bravura nelle occupazioni «femminili», la condanna ai lavori domestici e alla totale dedizione alla cura del bambino stesso. In altri casi l’accento è posto soprattutto sulla miseria, sulla fame, sul necessario che manca e anche sulla mancanza del compagno che spesso non c’è. Quasi sempre, comunque, la ninna-nanna ha una funzione di «istruzione» del bambino, di accostamento ai costumi, ai valori, alla realtà della vita, per comunicargli la cura e la presenza di sé e dell’altro.