Frode ai danni dell’Europa, noto allevatore condannato
Truffa sui contributi Ue, la Corte dei Conti condanna un noto allevatore e il prestanome
La Corte dei Conti di Trento ha condannato un noto imprenditore trentino e un suo dipendente a pagare oltre 111mila euro di danno erariale. Si ipotizza una frode ai danni dell’Unione Europea sui contributi riservati ai nuovi giovani agricoltori.
I contributi per i «bovini macellati», 46. 155 euro, erano legittimi, ma per quanto riguarda i pascoli «non vi è alcuna prova che su quei terreni sia mai giunto il bestiame allevato». Il giovane imprenditore, inoltre, altro non era che un semplice prestanome, «una testa di legno», posto ai vertici dell’azienda con l’unico scopo di incassare i contributi europei elargiti da Agea e riservati ai giovani agricoltori.
Anche la disponibilità dei terreni in Abruzzo non sarebbe stata funzionale all’attività agricola, ma «creata ad arte, artificiosamente — sottolinea la Corte — al fine esclusivo di massimizzare gli aiuti pubblici». Insomma il noto allevatore trentino aveva architettato un piano ben congeniato per incassare gli aiuti europei, ma la guardia di finanza lo ha smascherato e ora è arrivata la condanna della Corte dei Conti. I giudici hanno condannato l’allevatore e il prestanome a pagare 111.780 euro. A tanto ammonta il danno erariale calcolato dalla Corte dei Conti che ha condiviso le conclusioni del vice procuratore regionale Roberto Angioni scorporando solo dal conto finale il contributo da 46mila euro per i bovini macellati.
La Procura ipotizzava una frode ai danni dell’Unione Europea e nell’atto di citazione a giudizio aveva contestato un danno da 157.936 euro che corrisponde alla somma complessiva dei contributi ricevuti dalla neonata azienda agricola dal 29 dicembre 2010 al 3 luglio 2014. Secondo l’accusa il fantomatico neo imprenditore (di fatto il prestanome) avrebbe anche ricevuto uno stipendio dall’altra azienda agricola. Analizzando la documentazione bancaria la guardia di finanza della Tenenza di Tione, che ha condotto le indagini, aveva scoperto anche un giro di bonifici sospetti, in particolare il noto imprenditore trentino avrebbe finanziato totalmente la nuova azienda agricola versando un milione e 499.100 euro a fronte di una restituzione di un milione e 326.506 euro. Somme importanti che avevano insospettito gli investigatori. Non ci sarebbe infatti alcuna documentazione sulle condizioni dell’accordo del finanziamento e neppure le modalità di restituzione. «Non appare credibile — scrivono i giudici in sentenza — che l’enorme investimento finanziario effettato nell’azienda dall’imprenditore trentino potesse spiegarsi con la semplice volontà di “aiutare” una persona con la quale sussisteva un lontano rapporto di affinità». Per i giudici è invece «più verosimile che l’intento perseguito fosse quello di mettere il prestanome nelle condizioni di acquisire i mezzi di produzione necessari — continua la Corte — e locupletare i contributi comunitari». Per la Corte è chiaro che l’amministratore di fatto era l’allevatore trentino e il giovane presunto imprenditore in erba non sarebbe stato neppure coinvolto nella gestione dell’impresa. I giudici rimarcano la natura fittizia dell’azienda che sarebbe confermata anche dal fatto che l’attività è stata chiusa subito dopo aver incassato gli aiuti. In udienza la difesa ha replicato all’accusa sostenendo che l’imprenditore aveva la disponibilità giuridica dei terreni, ma per la Corte non vi è alcuna prova che i bovini siano stati mai portati in quei pascoli.