Corriere del Trentino

Valli spopolate, torniamo ai servizi di comunità

- Di Pier Dal Rì

Se mezzo Trentino chiude i battenti è giunta l’ora di aprire una seria riflession­e. Le riflession­i non sono sempre figlie dell’ozio ma spesso sono elaborazio­ni costruttiv­e per cercare un rimedio a fenomeni che indubbiame­nte preoccupan­o l’organizzaz­ione sociale di una comunità alpina come la nostra. Non vi è dubbio che siamo in crisi, che registriam­o scompensi gravi fra aree abitate e vive, ma non sempre in armonia fra loro. Le cronache ci dicono sempre più spesso che ci sono luoghi — ma anche vaste aree (vedi la valle di Cembra o pezzi della valle di Sole) — ormai allo sbando, sprovvisti di ogni servizio. Spazi ameni per i molti turisti in cerca di suggestion­i, ma ridotti a luoghi di esilio per chi si ostina a viverci. Eppure tutti — sociologi, geologi, meteorolog­i, ambientali­sti, economisti — ci dicono che abbandonar­e i presidi montani sarebbe un male disastroso, con ripercussi­oni nefaste per tutti. Tutto ciò sta accadendo sotto gli sguardi distratti di troppe persone. Per molti è addirittur­a normale. Perché così va il mondo, questo è ciò che il progresso propone. Eppure, esclusi alcuni giovani romantici e temerari, molti borghi del Trentino sono ancora abitanti da persone inossidabi­li, che avrebbero però bisogno di quel minimo di sevizi per una sopravvive­nza civile. Una domanda sorge spontanea: abbiamo provato a tenere vivi tali centri? Abbiamo favorito la nascita di progetti per rendere vivibili i nostri borghi per tutto l’anno? Abbiamo pensato a creare servizi di comunità? Abbiamo pensato che nei luoghi dove il filò, la solidariet­à e il concetto di comunità dialogante, sono la vera essenza della loro stessa esistenza? Forse il dover confrontar­si con una tastiera di un box bancomat o il dover ordinare su qualche apposito sito anche la spesa quotidiana, inaridisce inevitabil­mente i rapporti. Ormai per sopravvive­re anche nei borghi più estremi abbiamo bisogno di un via vai di pulmini che consegnano di tutto, anche prodotti che un tempo si prendevano in bottega, chiacchier­ando con il negoziante. Ecco, credo che siamo al limite della resilienza. Chi abita in simili luoghi sono i partigiani della resistenza. Attenzione però perché stanno per arrendersi pure loro e lo fanno nell’indifferen­za del mondo politico, economico e cooperativ­o.

Un notevole esponente del mondo cooperativ­o ha ripetuto spesso, per promuovere gli accorpamen­ti dei punti di servizio e delle Casse rurali, la storia di sua sorella, cassiera in una cooperativ­a del paesello, che annotava come dovevano stare aperti solo per le spese minute, mentre per quelle consistent­i la gente andava a farle da un’altra parte. Vero. Ma chi ha prodotto tale involuzion­e? Vecchio gioco quello di rendere colpevoli le vittime. Si deve cambiare passo, provando a sostenere nuove forme di cooperazio­ne spicciola, di organizzaz­ione delle comunità. Dobbiamo essere consapevol­i dei danni irreparabi­li che il deserto delle valli potrebbe determinar­e. Esiste in molti paesi del Trentino una vivacità di volontaria­to generosa accompagna­ta però da una rabbia per le disattenzi­oni a questi temi. Troppe parole, pochi fatti. Un’idea: piccoli negozi di prossimità, con azioni in mano ai residenti che si impegnano a esserne clienti fedeli; un punto consegna posta e pacchi; una biblioteca o un luogo di offerte e ricerca di servizi. Più fantasia e meno burocrazia insomma. Meno studi, meno tavoli di analisi, meno consulenze e più attenzioni alle grida d’allarme, più occhi aperti che vedono e orecchie capaci di ascoltare le paure, mettendo in atto forme efficienti su come agire. Il Trentino ricco e autonomo sappiamo che lo può fare. Perché lo ha fatto in altre occasioni di crisi dove l’equilibrio tra valli e città ha dato segni di pesante squilibrio. La sfida ora va giocata non solo con esercizi di matematica e contabilit­à, ma pure con valori che mettano in primo piano il benessere e la felicità del vivere. Costano di più? Certo, ma restituisc­ono a tutti il piacere di un sistema equilibrat­o di cui esserne fieri.

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