Valli spopolate, torniamo ai servizi di comunità
Se mezzo Trentino chiude i battenti è giunta l’ora di aprire una seria riflessione. Le riflessioni non sono sempre figlie dell’ozio ma spesso sono elaborazioni costruttive per cercare un rimedio a fenomeni che indubbiamente preoccupano l’organizzazione sociale di una comunità alpina come la nostra. Non vi è dubbio che siamo in crisi, che registriamo scompensi gravi fra aree abitate e vive, ma non sempre in armonia fra loro. Le cronache ci dicono sempre più spesso che ci sono luoghi — ma anche vaste aree (vedi la valle di Cembra o pezzi della valle di Sole) — ormai allo sbando, sprovvisti di ogni servizio. Spazi ameni per i molti turisti in cerca di suggestioni, ma ridotti a luoghi di esilio per chi si ostina a viverci. Eppure tutti — sociologi, geologi, meteorologi, ambientalisti, economisti — ci dicono che abbandonare i presidi montani sarebbe un male disastroso, con ripercussioni nefaste per tutti. Tutto ciò sta accadendo sotto gli sguardi distratti di troppe persone. Per molti è addirittura normale. Perché così va il mondo, questo è ciò che il progresso propone. Eppure, esclusi alcuni giovani romantici e temerari, molti borghi del Trentino sono ancora abitanti da persone inossidabili, che avrebbero però bisogno di quel minimo di sevizi per una sopravvivenza civile. Una domanda sorge spontanea: abbiamo provato a tenere vivi tali centri? Abbiamo favorito la nascita di progetti per rendere vivibili i nostri borghi per tutto l’anno? Abbiamo pensato a creare servizi di comunità? Abbiamo pensato che nei luoghi dove il filò, la solidarietà e il concetto di comunità dialogante, sono la vera essenza della loro stessa esistenza? Forse il dover confrontarsi con una tastiera di un box bancomat o il dover ordinare su qualche apposito sito anche la spesa quotidiana, inaridisce inevitabilmente i rapporti. Ormai per sopravvivere anche nei borghi più estremi abbiamo bisogno di un via vai di pulmini che consegnano di tutto, anche prodotti che un tempo si prendevano in bottega, chiacchierando con il negoziante. Ecco, credo che siamo al limite della resilienza. Chi abita in simili luoghi sono i partigiani della resistenza. Attenzione però perché stanno per arrendersi pure loro e lo fanno nell’indifferenza del mondo politico, economico e cooperativo.
Un notevole esponente del mondo cooperativo ha ripetuto spesso, per promuovere gli accorpamenti dei punti di servizio e delle Casse rurali, la storia di sua sorella, cassiera in una cooperativa del paesello, che annotava come dovevano stare aperti solo per le spese minute, mentre per quelle consistenti la gente andava a farle da un’altra parte. Vero. Ma chi ha prodotto tale involuzione? Vecchio gioco quello di rendere colpevoli le vittime. Si deve cambiare passo, provando a sostenere nuove forme di cooperazione spicciola, di organizzazione delle comunità. Dobbiamo essere consapevoli dei danni irreparabili che il deserto delle valli potrebbe determinare. Esiste in molti paesi del Trentino una vivacità di volontariato generosa accompagnata però da una rabbia per le disattenzioni a questi temi. Troppe parole, pochi fatti. Un’idea: piccoli negozi di prossimità, con azioni in mano ai residenti che si impegnano a esserne clienti fedeli; un punto consegna posta e pacchi; una biblioteca o un luogo di offerte e ricerca di servizi. Più fantasia e meno burocrazia insomma. Meno studi, meno tavoli di analisi, meno consulenze e più attenzioni alle grida d’allarme, più occhi aperti che vedono e orecchie capaci di ascoltare le paure, mettendo in atto forme efficienti su come agire. Il Trentino ricco e autonomo sappiamo che lo può fare. Perché lo ha fatto in altre occasioni di crisi dove l’equilibrio tra valli e città ha dato segni di pesante squilibrio. La sfida ora va giocata non solo con esercizi di matematica e contabilità, ma pure con valori che mettano in primo piano il benessere e la felicità del vivere. Costano di più? Certo, ma restituiscono a tutti il piacere di un sistema equilibrato di cui esserne fieri.