Pasi, il medico-partigiano martire della Liberazione
Medaglia d’oro della Resistenza, sarà ricordato con due cerimonie a Trento e a Belluno
A volte ombroso e brusco. Comunque sempre lucido e deciso nel pensiero e nell’azione. Mario Pasi veniva impiccato ad un albero 79 anni fa, al tramonto del 10 marzo 1945, al Bosco delle castagne, sopra Belluno, insieme ad altri nove partigiani. Aveva 31 anni. Mancava poco alla fine della Seconda guerra mondiale, alla Liberazione dell’Italia dal giogo nazi-fascista. Dopo quattro mesi di torture inenarrabili, il partigiano «Montagna», commissario politico tra i più riconosciuti e autorevoli nel Bellunese e non solo, dove infuriava lo scontro tra la Resistenza e i tedeschi, arrivò moribondo al patibolo, portato da altri due condannati a morte sdraiato su una scala. Lo avevano reso in quello stato le Ss. Oggi, a Trento, in piazza Pasi, alle 10, la Medaglia d’oro della Resistenza sarà ricordato dal presidente dell’Anpi del Trentino (l’associazione dei partigiani) Mario Cossali e dalla vicesindaca Elisabetta Bozzarelli. Alle 11.15 è in programma la deposizione di una corona nell’atrio dell’ospedale Santa Chiara del quale, quando il nosocomio era nell’attuale via Santa Croce, Pasi era stato medico chirurgo. Domani, al Bosco delle castagne, sempre dalle ore 10, il ricordo, presente una delegazione dell’Anpi trentina, sarà affidato al sindaco di Belluno Oscar De Pellegrine all’assessore alle politiche sociali del Comune di Brescia Marco Fenaroli.
Mario Pasi, nato a Ravenna, figlio unico di una famiglia operaia, studia al ginnasio e poi prende la via di Bologna dove si laurea in Medicina e chirurgia. Sottotenente medico partecipa alla campagna d’Albania e, una volta tornato, dopo aver vinto un concorso, nel 1938 arriva a Trento all’ospedale Santa Chiara. Attento ai più umili, matura sempre più il suo antifascismo e raccoglie attorno a sé i non molti aderenti e dirigenti comunisti trentini. Conosce Ines Pisoni, di formazione cattolica, che gli rimarrà vicino fino all’ultimo, anche battendo a macchina quei fogli del periodico clandestino «Il proletario» che aveva ideato. La svolta è rappresentata dall’8 settembre 1943, dall’Armistizio con il quale il Regno si arrende agli Alleati e rompe l’alleanza con i tedeschi. Trento, con la formazione d el l’ Alpenvorland, la Zona d’operazione delle Prealpi comprendente Alto Adige, Trentino e Bellunese, diventa pericolosa. L’occupazione tedesca è asfissiante. Pasi decide di unirsi alle formazioni partigiane bellunesi ed entra in azione. Quando venne arrestato, a novembre del ‘44, alle due di notte, in una casa di Belluno, né i poliziotti italiani ne le Ss a cui in seguito fu consegnato, lo riconobbero. Lo scoprì un delatore, una spia, che lo aveva visto in un casolare fuori la città aiutare una contadina a partorire. Il suo nome era in cima alla lista dei ricercati. Le torture durarono quattro mesi. Non parlò, invece che acqua gli davano aceto. Cercò di tagliarsi le vene, riuscì a far arrivare all’ esterno un messaggi oche chiedeva ai suoi compagni di introdurre in carcere del veleno per farla finita. Invano. Poi, l’ impiccagione. Portato dai partigiani nella chiesa di San Giorgio e San Sebastiano, una foto lo ritrae con una prospettiva che pare Che Guevara, Pasi nel dopoguerra venne sepolto a Ravenna. Lo scrittore e poeta Mario T obi no, suo amico e compagno di studi a Bologna, così lo ricordava: «Aveva sortito dalla natura un cuore generoso e fedele, una limpida intelligenza. Era radicato nel popolo, figlio di quello». Livia Battisti, figlia di Cesare, il socialista trentino impiccato per alto tradimento dagli austriaci durante la Prima guerra mondiale, pensò anche a Pasi nel fondare, terminato il conflitto, la Lega dei volontari del sangue. Lo definì «medico apostolo» e l’associazione prese il nome, oltreché del fratello di lei, Gigino, primo sindaco di Trento dopo la Liberazione, del ragazzo romagnolo arrivato in città dal mare e morto in montagna.