Palermo: «Sui temi strategici non c’è voglia di collaborare» Il costituzionalista: poca attenzione alla Regione, ma coordinarsi è fondamentale
Francesco Palermo la BOLZANO politica non solo la insegna ma ha anche lo sguardo disincantato di chi l’ha vissuta in prima persona. Cinque anni in Senato come primo italiano eletto dall’alleanza Svp-centrosinistra. Poi il ritorno all’università dove insegna diritto pubblico comparato. Il suo giudizio sul pasticcio che ha portato alla nascita della giunta regionale è impietoso: «Non c’è la volontà di collaborare: il pragmatismo di cui tanto si parla scompare ogni volta che si parla di Regione».
Per la prima volta dai tempi di Dellai e Durnwalder viene meno la presenza di entrambi i governatori in giunta regionale. Non è un’ulteriore picconata?
«La picconata era già stata data prima: con l’archietttura voluta da Durnwalder e Della si è voluto rimarcare che la Regione è solo una proiezione delle due province. La soluzione della staffetta tra i due presidenti è un accordo politico che non modifica nulla. Di fatto è cambiata solo la vicepresidenza, l’impalcatura dello Statuto rimane. Ci si è inventati questa soluzione per le quote rosa, non direi che c’è un indebolimento».
Ma non rischia di venire meno una preziosa occasione di confronto tra i due presidenti? Se non si vedono in giunta non c’è rischio che smettano di parlarsi?
«Sicuramente i due presidenti non hanno bisogno della giunta regionale per parlarsi. La Regione ha anche una sua utilità politica nel senso che può essere usata per puntellare gli accordi provinciali. Ci sono dei posti da assegnare, un budget. Ma la domanda vera è un’altra. Cosa si può fare per cooperare in maniera più efficace. Ma soprattutto, si vuole cooperare?»
L’impressione è che non si voglia cooperare. O no?
«Ci definiamo post ideologici ma per molti versi siamo ancora negli anni ‘60, ai tempi del los von Trient. É possibile che la Regione non sia il luogo giusto per cooperare ma l’alternativa non può essere quella di non fare nulla».
La riforma dello Statuto può cambiare qualcosa?
«Mi rendo conto che è facile criticare da fuori ma non si affrontano i nodi veri, è una riforma che non serve a un tubo e che non tocca niente della Regione».
Da parte dell’Svp c’è un disinteresse totale. Alto Adige Innovazione ha scoperto che le dichiarazioni programmati c h e d i Kompatsc h e r uguali a quelle di 5 anni fa...
«I casi sono due: o è un testo raffazzonato perchè non c ’è interesse oppure è uno schiaffo fatto apposta. Non so cosa sia peggio».
Per non limitarsi alla critica. Come immagina la collaborazione tra le Province?
«Si può lasciare la scatola ma il punto è come arrivare ad cooperazione maggiore per co o rdi nare l e pol i t i c he su questioni strategiche come la sanità, i trasporti, la ricerca. Temi su cui nessuno dei due ha la massa critica per fare da solo. Quindi bisogna rendere strutturali forme di collaborazione come si sta facendo con
Euregio. Solo che l’Euregio non può essere la soluzione, è troppo sbilanciata sul piano etnico e simbolico».
Tipo incontri periodici tra due giunte?
«Sarebbe meglio formalizzare la collaborazione a sul piano giuridico ma potrebbe bastare anche un accordo politico. Andrebbe previsto una sorta di comitato di coalizione interprovinciale dove coordinare le politiche. Ad esempio decidere quali reparti specializzare negli ospedali. O dove investire nella ricerca. Non grandi principi ma un impegno a coordinarsi su cose che siamo troppo piccoli per affrontare da soli. Poi ognuno può andare per la sua strada ma bisogna almeno provare a fare i n s i e me. S i p r e d i c a il pragmatismo ma purtroppo in questo caso si fa l’opposto: uno fa la scuola di medicina con Verona e l’altro con Salisburgo e la Cattolica».
Questa giunta che nasce all’insegna dei franchi tiratori può cambiare qualcosa? O una maggioranza così traballante rischia di cascare da un momento all’altro?
«Ci stiamo italianizzando, mi viene da dire Südtirol ist
doch Italien (l’Alto Adige è Italia). Ma ancora una volta è la Regione che potrebbe salvare la baracca. Il fatto che non si possa andare ad elezioni nella seconda parte di legislatura se entrambe le province non sono d’accordo è una garanzia di stabilità. Un’ancora di sicurezza: ti devi tenere quello che c’è non si può sciogliere il consenso dell’altro».
Le due Province sono troppo piccole per affrontare da sole questioni complesse come la sanità, i trasporti o la ricerca Bisogna coordinarsi di più