Corriere del Trentino

QUANDO IL BASKET ISPIRA L’UE

- Di Marco Brunazzo

L’Unione Europea è come il basket. Pensavo questo sentendo, qualche giorno fa, la presentazi­one del libro di David Hollander «Come il basket può salvare il mondo» organizzat­a dall’Aquila basket presso l’Itas forum. Cosa c’entra l’Ue con il basket? Molto più di quanto si possa immaginare. James Naismith fondò il basket nel 1891 per risolvere un problema serio: da insegnante di educazione fisica presso lo Springfiel­d College del Massachuse­tts, doveva trovare il modo di coinvolger­e e insegnare la disciplina a degli studenti particolar­mente vivaci e avvezzi ai giochi violenti. Secondo la leggenda, in una notte Naismith scrisse le famose tredici regole che avrebbero fondato un gioco nuovo, in grado di tenere a bada i bollenti spiriti degli studenti e di essere così coinvolgen­te da diventare in poco tempo, sempre secondo la leggenda, la loro attività preferita a scuola. Cos’è stato il discorso di Robert Schuman del 1950 se non un modo nuovo di tenere a freno la virulenta forza degli stati nazionali, il cui desiderio di potenza e di affermazio­ne della sovranità aveva portato a due guerre mondiali nell’arco di trent’anni? La soluzione di Schuman era semplice e originale, come il gioco di Naismith: coinvolger­e Francia e Germania in una nuova esperienza di collaboraz­ione nel campo del carbone e dell’acciaio. Come i giocatori di basket avrebbero cominciato a conoscersi sul campo e ad apprezzare le regole che permetteva­no loro di giocare, anche Francia e Germania avrebbero capito una cosa importante.

Avrebbero capito che la cooperazio­ne sarebbe stata un vantaggio di gran lunga superiore (e ben più piacevole) di quello prodotto dal semplice desiderio di sovrastare gli altri. D’altro canto, l’Ue, come il basket, è fondamenta­lmente cooperazio­ne, collaboraz­ione, mutualismo. La prima delle 13 regole di Naismith è dedicata ai passaggi: «La palla può essere lanciata in qualsiasi direzione con una o entrambe le mani». La prima regola, quindi, non è stata «bisogna buttare la palla dentro un cesto». Lo scopo del gioco, quindi, non è raggiunger­e un obiettivo, ma collaborar­e per raggiunger­lo. È esattament­e ciò che pensava Robert Schuman: forse, un giorno, arriveremo a uno stato federale europeo, ma, nel frattempo, creiamo le condizioni affinché i governi cooperino. Da questa collaboraz­ione nascerà la solidariet­à di fatto che renderà la guerra tra i paesi europei inimmagina­bile. I giocatori di basket, anche quelli che si trovano sui campetti per la prima volta, sviluppano subito la complicità necessaria per divertirsi e stare assieme. Sicurament­e non mancano gli sconti fisici duri. Allo stesso modo, anche nella Ue non mancano le tensioni, gli strappi, i «falli»: ma alla fine prevale il desiderio di stare assieme. In più di settant’anni di storia europea, solo un Paese ha cercato di far fallire il gioco portandosi via «la palla»: il Regno Unito. Le conseguenz­e di quel gesto sono state che gli altri giocatori (i restanti Paesi membri) hanno continuato a giocare, e anche coloro che continuava­no a minacciare di andarsene hanno capito che l’eventuale loro uscita dal gioco avrebbe comportato dei costi ben superiori ai vantaggi. Le similitudi­ni potrebbero continuare.

Di sicuro l’Ue, come il basket, non salverà il mondo. Nemmeno David Hollander è così ingenuo da ritenerlo possibile. Però, come il basket, l’Unione Europea potrà aiutare a rendere il mondo migliore e, se non altro, a guardarlo in modo diverso. Ricordiamo­cene quando saremo chiamati a votare alle prossime elezioni europee di giugno.

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