C’è Paiato a Bolzano «Mi divido in undici»
La stagione di «In scena 2024» La pièce «Ladies Football Club», firmata Massini, sul palco del Teatro Cristallo Monologo sulle protagoniste che nel 1917 formarono la squadra di calcio femminile L’attrice premio Ubu: «L’attualità? Anche oggi le donne devon
L’attrice Premio Ubu Maria Paiato arriva giovedì a l Teat ro Cr i s t a l l o di Bolzano, diretta da Giorgio Sangati, per portare in scena il monologo Ladies Football Club di Stefano Massini (ore 20.30). Uno spettacolo corale, pur essendone unica interprete, sulle quinte dà vita a undici personaggi: le donne che, nel 1917, in una fabbrica di munizioni di Sheffield formarono una squadra di calcio femminile.
Pa i a to , c o me affronta questa produzione?
«È una sfida che mi carica di energia ed entusiasmo. È uno spettacolo impegnativo, con undici ruoli e un racconto di un’ora e 45 minuti, che sarebbe la durata di una partita di calcio, compresa di intervallo e tempi supplementari».
A chi è affidata la voce narrante?
«A una terza persona che si scoprirà essere uno degli undici personaggi femminili. Il monologo cita una dopo l’altra queste donne molto diverse tra loro che hanno formato una anomala squadra di calcio femminile nei primi anni del ‘900».
Che personaggi interpreta?
«Sono tutte giovani dai venti ai trent’anni e in questo ventaglio di ca r a t te r i , colori, energie, che ricoprono un po’ tutte le tipologie umane, ci sono la forza bruta e muscolare, quella politicizzata e quella dalla verve poetica. Donne unite da una grande solidarietà, concentrate nella sinergia in campo».
Il tema dello spettacolo?
«La solidarietà, la sorellanza e lo spirito di squadra sono temi portanti perché in questa storia si capisce come sia proprio lo stare insieme a produrre risultati. Lo spettacolo è un invito a non isolarsi, a non chiudersi. E poi c’è la tematica del riscatto femminile di queste undici donne che si trovarono a ricoprire i posti di lavoro abbandonati dagli uomini chiamati al fronte. Le donne li sostituiscono in fabbrica ma anche nell’intrattenimento, nel calcio».
Con quali risultati?
«Quella che è una necessità porterà a scoprire come le donne abbiano una forza e un potenziale per niente minore degli uomini: la spettacolarità e la capacità di gioco della loro squadra risulterà altrettanto v i n ce n te e a v v i n ce n te . Un’esperienza che porta all’abbozzare di una consapevolezza che sfocerà, anni più tardi, nel femminismo e nella rivo l u z i o ne d e g l i a nni ‘60 e ‘70».
In quali di queste donne si rivede?
«Sono composta un po’ da tutte loro. Il regista Sangati ha voluto che la terza persona che parla avesse una sua concretezza e un corpo incarnati nel personaggio di Rosalyn Taylor, la portiera della squadra a cui non va di stare in porta. Non capisce perché tocchi a lei, anche se è stata la prima a mettersi davanti a un cancello arrugginito che simulava una porta. Mi sento molto vicina a lei e a Melanie Murray per la sua forza muscolare, perché è uno spettacolo molto fisico. Forse mi sento distante da Berenice MacDougall, che mi ricorda una cheerleader per quella freschezza da diciottenne entusiasta. Ma in realtà tutte noi donne possediamo tutti questi caratteri».
Cosa rende contemporaneo uno spettacolo ambientato un secolo fa?
«L’eterna differenza tra i generi. Ancora oggi le donne devono lottare per essere retribuite quanto gli uomini, per avere gli stessi diritti, le stesse opportunità. E poi l’eloquio che le rende molto vere, concrete».
In cosa il pubblico si sentirà partecipe?
«In quello che lamentano le undici donne e che balza all’occhio: una disparità sotto tutti gli aspetti. Finché gli uomini sono in guerra, la squadra femminile ha seguito e tifo. Poi tornano e le donne non servono più: le umiliano, ritornano i meccanismi di sempre. Questo crea nel pubblico dispiacere e dolore, perché si è affezionato alle undici in campo e fa soffrire vederle trattate così».