DOMANDE IN ATTESA DI RISPOSTA
Si avvicina rapidamente la data (9 giugno) delle decime elezioni del Parlamento europeo. In questi giorni i partiti italiani sono alle prese con la composizione delle liste dei candidati. Trattandosi, per la parte italiana, di soli 76 futuri membri del Parlamento europeo la competizione interna alle forze politiche è, come si può immaginare, piuttosto vivace. A guidarla, come è ovvio, sono i segretari dei partiti in campo. Qui nasce un primo problema. Le esperienze delle precedenti tornate elettorali europee ci hanno dimostrato come i criteri di scelta siano stati, a essere generosi, di basso livello. Mandare a Strasburgo coloro che danno fastidio all’interno dei partiti o coloro che non ce l’hanno fatta nelle elezioni nazionali e che quindi ricevono una specie di premio di consolazione. Rarissimi i casi di candidati realmente competenti sulle tematiche europee e di politica estera. Eppure in questi ultimi decenni il Parlamento europeo è notevolmente cresciuto in ruolo e poteri e oggi costituisce un essenziale snodo per l’approvazione di politiche comuni di crescente importanza per il futuro dell’Ue, dall’ambiente alla sicurezza, dall’immigrazione ai rapporti transatlantici, dalle posizioni drammatiche con la Russia alle relazioni spesso ostili con la Cina. Proprio su queste problematiche in vista delle prossime elezioni la Scuola di Preparazione Sociale di Trento ha organizzato quattro «martedì europei» per approfondire e diffondere, soprattutto fra i giovani, la consapevolezza dell’importanza del passaggio elettorale.
Nella riunione conclusiva ha anche partecipato in videoconferenza Romano Prodi, già presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004. Alla luce della sua grande esperienza a Bruxelles e dell’autentica passione per l’Europa ha quindi permesso ai partecipanti al convegno di cercare risposte agli interrogativi che hanno contraddistinto i quattro appuntamenti animati dalla presenza di esperti trentini e italiani. Uno degli interrogativi che sono stati avanzati fin dall’inizio è quale domanda sarebbe opportuno porre ai candidati alle elezioni. Non è tanto la risposta secca Europa sì o Europa no a interessare, ma di quale tipo di Unione abbiamo bisogno come singoli stati membri di fronte a un mondo in caotico e radicale mutamento. Chiaro che il segnale più recente di questo cambiamento è stata l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Ma non è il solo. Lo scoppio di un altro conflitto in Medio Oriente segnala ancora di più come oggi i paesi nel mondo non esitino a ricorrere alle armi per risolvere le loro contese o per difendere i loro interessi di potere nei confronti dei vicini. Non vi è più alcuna regola internazionale, dalla protezione dei confini nazionali al rispetto dei diritti umani, che possa frapporsi alla politica di potenza. Le Nazioni Unite, poi, sono ormai sempre più marginali e inconsistenti: le loro risoluzioni sono normalmente carta straccia. Non vi è neppure più la grande potenza americana, quella che dopo il collasso dell’Unione Sovietica era stata collocata nel ruolo di «gendarme» del mondo, capace di modificare il corso degli eventi. Oggi Joe Biden non è neppure in grado di contenere l’offensiva militare a Gaza di un tradizionale alleato di ferro come è da sempre Israele. Il mondo rimane ancora interconnesso almeno economicamente, ma non è più in grado di gestire la propria sicurezza e di escludere lo scoppio di un confluito più vasto. In questa caotica situazione l’Unione europea rischia di trasformarsi nel classico vaso di coccio di fronte al crescere di potenze mondiali e regionali, dalla Cina alla Turchia, dall’India alla Russia che seguono i propri interessi e istinti politici nazionali in un precario equilibrio di stati in competizione fra di loro. Inutile illudersi che i singoli paesi membri dell’Ue siano singolarmente in grado di difendere i propri interessi in questo mondo multipolare. Lo si vede dall’inconsistenza e dalla mancanza di peso internazionale della Gran Bretagna che con la Brexit ha deciso di uscire dall’Ue. Tocca quindi a noi europei decidere se ci convenga procedere nell’integrazione fino a diventare un credibile «polo» mondiale al pari dei nostri concorrenti maggiori, Stati Uniti compresi (soprattutto se dovesse tornare Donald Trump alla presidenza). Quindi in questo nostro tempo si ritorna ai grandi temi di fondo, dalla difesa europea al rafforzamento della ricerca tecnologica e digitale, dalla lotta per un ambiente più rispettoso della natura alla trasformazione delle fonti energetiche sia per motivi ambientali sia per ridurre la nostra dipendenza dagli altri. La domanda da porre ai candidati è quindi quella di sapere se essi sono d’accordo nel portare avanti con forza e convinzione un processo di integrazione che eviti il rischio della frammentazione nazionalista all’interno dell’Ue. Frammentazione che ci porterebbe alla dissoluzione dell’Unione e alla inconsistenza dei nostri singoli paesi nel mondo. Le iniziative territoriali, come quella che si è svolta a Trento (e altre ne seguiranno) sono quindi di straordinaria importanza per riaprire nella società il dibattito sul progetto europeo e per valutare la reale competenza dei candidati che andranno a difendere a Strasburgo il futuro dell’Unione e, al suo interno, quello del nostro paese.