Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’IDENTITÀ NON È IL PASSATO
«Potrebbe essere l’occasione per aprire un ragionamento su cosa sia davvero la Cultura veneta, con la maiuscola»: in questi termini si è espresso Davide Guiotto, ex presidente di «Raixe venete», associazione indipendentista attiva da alcuni anni nel territorio, commentando la polemica sui fondi spesi in questi anni dalla Regione per finanziare iniziative mirate alla promozione della cultura veneta. Non si sa a quale titolo Guiotto reclami un simile «ragionamento», ma l’occasione può essere ugualmente colta, anche in vista del referendum sull’autonomia regionale. Dunque, vediamo che cosa si debba intendere per Cultura (con la maiuscola, s’intende). Per prima cosa, essa non deve avere aggettivi. Parlare di «cultura veneta», obbliga subito ad usare la minuscola. Per la semplicissima ragione che autentica cultura è anzitutto quella che non è riconducibile entro limiti geografici, e che eccede anche i confini del tempo. Ogni «specificazione» della cultura inevitabilmente ne relativizza il significato, ne degrada il valore. Sofocle o Dante, Cervantes o Shakespeare, Goethe o Proust, non appartengono alla tradizione culturale dell’Occidente come greci o italiani, spagnoli o inglesi, tedeschi o francesi, ma semplicemente come espressioni universali di ciò che per definizione non ha confini.
La stessa logica può essere applicata anche a pittori come Giotto o Van Gogh, a musicisti come Vivaldi o Bach, a filosofi come Platone o Hegel. Tanto per capirsi: c’è qualcuno, sano di mente, che ascoltando il «Matthaeus Passio» possa considerarlo come manifestazione della cultura germanica, o che visitando la Cappella degli Scrovegni riconosca le tracce dell’arte toscana, o che leggendo il «Simposio» lo assuma come mera documentazione della cultura greca?
Ci si potrebbe spingere ad affermare che il discrimine fra cultura e non cultura è precisamente segnato dalla capacità di «parlare» a tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle epoche, dalle lingue e dalle nazionalità, ovvero di rivolgersi soltanto a una circoscritta area della popolazione. Dovrebbe essere evidente che se si avverte l’esigenza di aggettivare la cultura, vuol dire che in realtà non si è in presenza di cultura autentica, ma piuttosto di pur rispettabilissime manifestazioni del folklore o delle tradizioni locali. Il «palio dei mussi» di Teglio, il «patto del Cappone» di Musile, la Pastoria del Borgo Furo – finanziate generosamente dalla Regione come iniziative culturali - sono -certamente degne di essere conosciute e tramandate, ma senza confondere ambiti e tipologie. Qui il discorso inevitabilmente si allarga a ricomprendere una questione strettamente connessa, e non meno controversa, quale è quella dell’identità. Diventata negli anni marchio di fabbrica, e insieme specchietto per le allodole, nelle mani della Lega, la questione dell’identità veneta andrebbe approfondita al di là delle semplificazioni tuttora egemoni. A cominciare dallo stabilire con quali parametri sia possibile proporre una definizione che non sia meramente tautologica – e quindi anche priva di significato – quale sarebbe quella di considerare che l’identità veneta sia definita da tutto ciò che, nel passato, è accaduto nel territorio che va dal lago di Garda alla foce del fiume Tagliamento.
Dove, ancora una volta, ciò che effettivamente può concorrere a individuare una peculiare identità non è l’immagine inevitabilmente sempre più sbiadita di ciò che il Veneto è stato, ma piuttosto la proiezione di ciò che esso rappresenta nel presente e nel futuro. Per convincersene, basti citare un esempio fra i più banali. Per decenni, dal secondo dopoguerra fino agli anni novanta, l’identità del cittadino veneto era descritta da un endiadi: «laborioso e pio». Questo stereotipo aveva trovato un riscontro perfino in alcune opere cinematografiche, dove il veneto era rappresentato come un giuggiolone un po’ tonto, bigotto, ma insieme anche obbediente lavoratore. Questa immagine è stata in tempi più recenti spazzata via in entrambe le componenti. Da un lato, infatti, il Veneto è terra dove più esteso a profondo è stato il processo di laicizzazione della società. Dall’altro lato, la nuova generazione di lavoratori si è distinta per uno spirito di intrapresa e una capacità di iniziativa che nulla hanno a che vedere con l’inclinazione alla subalternità soggiacente nello stereotipo tradizionale. Insomma, va bene «aprire un ragionamento» su cultura e identità. Ma che di ragionamento, e non di insulsa propaganda, si tratti.