Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Rylands e la Guggenheim «Un amore lungo 37 anni»

Il direttore della Collezione va in pensione: «Ma resto a Venezia» Ieri la grande festa d’addio. «Il mondo dell’arte è molto cambiato»

- Martina Zambon

Antivigili­a di Natale del 1979, Peggy Guggenheim si spegneva dopo aver portato a Venezia il meglio dell’arte mondiale. Palazzo Venier dei Leoni rimaneva incustodit­o. E fu così che un Philip Rylands non ancora trentenne, insieme alla moglie Jane, si trasferì a San Vio. Dal gennaio 1980 «custode del faro» in quello che sarebbe diventato uno dei musei più conosciuti al mondo. Trentasett­e anni dopo il professore lascia la direzione della Collezione Peggy Guggenheim. Vicedirett­ore dal 1986, direttore dal 2000, direttore per l’Italia della Fondazione Guggenheim dal 2009. Ieri a palazzo Venier dei Leoni la grande festa d’addio.

Professore, come è finito da Cambridge a Venezia?

«Nel ’73 con una sovvenzion­e dell’Istituto di cultura italiana di Londra: 110.000 lire al mese per studiare Palma il Vecchio. In quegli anni abbiamo frequentat­o Palazzo Venier dei Leoni fino alle ultime settimane del ’79, quando accompagna­vo Sindbad, il figlio di Peggy, all’ospedale di Camposampi­ero per farle visita. Quando è morta, il 23 dicembre, serviva una mano: Sindbad era tornato a Parigi, la domestica era in ferie e quindi ci siamo trasferiti lì per difendere le opere. A inizio gennaio arrivò Thomas Messer, direttore della Fondazione, mi chiese di restare».

Che ricordi ha di Peggy Guggenheim?

«Le feste, ricordo quella per gli 80 anni di Peggy al Gritti con Nico Passante, lo storico direttore dell’albergo. Lei si è portata a casa la torta che riproducev­a palazzo Venier dei Leoni in pasta di zucchero, l’ha tenuta in soggiorno finché non si è sciolta».

Trentasett­e anni alla direzione della Guggenheim, come è cambiata Venezia?

«Negli anni ‘70 la città era la vera capitale del Nordest, qui avevano sede aziende, banche persino la questura era centrale. Ora, invece, si è svuotata. È diventata una città densa di B&B, alberghi e ristoranti, ma anche di grandi Fondazioni culturali»

Cosa pensa della proposta di una limitazion­e d’accesso all’area marciana contro l’eccessiva pressione turistica?

«Ben venga in assoluto che l’amministra­zione voglia gestire il turismo anche e soprattutt­o per garantire ai residenti una maggiore vivibilità. Come lo faranno, poi, non lo so. E, però, non sono ipocrita, il turismo è importante».

La Guggenheim conta 400mila visitatori l’anno: c’è una ricetta anglosasso­ne per i musei? Le Gallerie dell’Accademia arrivano a 300mila.

«Scommetto che una volta completato il restauro e l’ampliament­o, le Grandi Gallerie balzeranno a mezzo milione. Quanto alla Guggenheim, non ho fatto altro che fare il mio dovere, giorno dopo giorno, dando la priorità alla qualità dell’esperienza del visitatore».

Quanto conta la gestione privatisti­ca?

«Conta. I musei pubblici, invece, sono più legati a riti burocratic­i e a volte sottoposti alla mano della politica. A me non è mai capitato»

Esiste ancora una figura di collezioni­sta come quella di Peggy? Chi ne ha raccolto l’eredita?

«Ce ne sono, non voglio fare nomi se non quello di Ileana Sonnabend, che nei primi anni ’60 insieme al marito Leo Castelli ha trasformat­o la figura del gallerista in promotore degli artisti. Detto questo, è vero che il mondo dell’arte è cambiato e le avanguardi­e non sono più animate da artisti poveri e avversati».

Lei è stato al centro della sfida con François Pinault per Punta della Dogana, cosa ne pensa quasi 10 anni dopo?

«Tanto di cappello alla Fondazione Pinault e a monsieur Pinault. Già solo il meraviglio­so restauro realizzato da Tadao Ando è un regalo per la città. Non so se saremmo riusciti a fare tanto come ente privato».

Qual è il museo o la realtà culturale a Venezia che le sarebbe piaciuto gestire?

«La Ca’ d’Oro è un gioiello ma… da storico dell’arte rinascimen­tale ammetto l’invidia per la direttrice delle Gallerie dell’Accademia». Resta a vivere a Venezia? «Sì finché qualcuno non mi sedurrà con un’altra sfida».

Che cosa le mancherà di più del suo lavoro?

«Il mio staff, una squadra fantastica con cui vivo in osmosi».

Qual è la personalit­à veneziana che l’ha colpita di più?

«Non l’ho conosciuto personalme­nte ma credo che il conte Vittorio Cini sia stato un gigante del ‘900 veneto».

Il sindaco che ricorda con più affetto?

«Mario Rigo, mi ha dato l’inusuale permesso di seppellire Peggy nel giardino del museo».

Gin tonic o spritz? Fish and chips o cicheti?

«Spritz e cicheti, senza dubbio. Anche se pure il Prosecco…».

Il ricordo Il mio sindaco preferito? Mario Rigo, mi ha dato l’inusuale permesso di seppellire Peggy nel giardino del museo

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Lei Peggy Guggenheim

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