Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La sentenza fa sognare i divorziati: ora tutti vogliono «ritoccare» l’assegno all’ex moglie
LA CASSAZIONE CORSA AGLI AVVOCATI
S’avanza uno strano cliente negli studi degli avvocati divorzisti, è maschio, ha il cuore pacificato ma il portafogli in disordine, per lui l’ex moglie è un capitolo chiuso da tempo eppure l’assegno che le corrisponde non ha mai smesso di correre. Prima pagava e stava zitto, ora finalmente spera, rimugina e tra sé e sé si ripete: hai visto mai, che con questa sentenza della Cassazione, da uccellato divento uccellatore? Questa è la volta che non le pago più gli alimenti.
Con sentenza n. 11504/17, la Suprema Corte ha stabilito che l’assegno di mantenimento «non va riconosciuto a chi è indipendente economicamente» ovvero possiede redditi, patrimonio mobiliare e immobiliare, «capacità e possibilità effettive» «di lavoro personale» e «stabile disponibilità di una abitazione».
La causa riguardava il contenzioso sollevato dal marito di una ricca ereditiera americana stufo di pagare, ricco di suo si presume. Questo non ha impedito a molti ex mariti di più umile condizione di riconoscersi nel fortunato ricorrente nella speranza di ripeterne l’impresa.
Da dieci giorni (la sentenza è del 9 maggio) il telefono di Alessandro Tosatto, coordinatore regionale dell’associazione «Padri separati» squilla incessantemente: «Tutti mi chiedono se non sia finalmente arrivata l’ora. Io cerco di ridimensionare gli entusiasmi, la sentenza è certamente innovativa, in qualche modo era nell’aria, ma è ambigua: il giorno dopo la stessa sezione della Cassazione conferma l’assegno di Berlusconi alla ex moglie Veronica Lario. Perché ciò che vale nel divorzio non vale per il periodo di separazione? Mi aspetto che i giudici si ritrovino a sezioni riunite e dicano una parola definitiva. Però avverto le signore: non stiano troppo tranquille».
E quanto si devono agitare queste signore? «Non più di tanto», rassicura l’avvocato civilista Daniele Accebbi del foro di Vicenza. Il suo cliente tipo (femmina per l’80 percento dei postulanti) arriva con gli occhi arrossati dal pianto e la vita sconvolta. «Io dico loro, si tranquillizzi, il divorzio è un trauma ma anche un cambio di passo e l’opportunità per una vita migliore. La legge del 1972 ha 45 anni, nel frattempo la condizione della donna è cambiata e il marito non può essere considerato come un’assicurazione sulla vita. I giudici lo sanno da tempo. Nel 1990 la Cassazione parlò di «tenore di vita» precisando cosa si dovesse intendere nel fornire «mezzi adeguati». Il giudice supremo avvertiva che l’assegno non può essere un motivo di rendita ingiustificata e parassii taria. L’ultima sentenza fa più rumore che altro, nella pratica poco cambierà. E come potrebbe del resto? Il tenore di vita per chi guadagna 1200-1500 euro non è un concetto che si allunga e si accorcia come un elastico. Quando c’è la possibilità il giudice interviene e, se interviene, lo fa con lo spirito del tempo. Lo spirito del tempo dice: tirati su le maniche e vai a lavorare, uomo o donna che tu sia».
Anna Maria Alborghetti, avvocato di Padova, era lo spauracchio dei mariti: le mogli che venivano da lei ne uscivano sempre con in più un filino di sadica soddisfazione. Ora ci ride su: «Siamo l’unico paese al mondo dove per divorziare bisogna prima separarsi. Assurdo no? Ma a parte questo, non sono una di quelle che dice, ah! povere noi donne. Dico che, se pure abbiamo mangiato tanti rospi, i tempi sono cambiati, la Cassazione lo riconosce e incoraggia la dignità femminile. Prendiamocela piuttosto con quegli sciagurati di padri che si fingono disoccupati pur di non pagare l’assegno ai figli».
Tranquille? Mica tanto. La collega Carla Secchieri, sempre di Padova, sente il terreno giudiziario muoversi sotto i piedi e si allarma: «Voglio vedere come interpreteranno i giudici di merito. Già c’è la corsa dei mariti a riempire modelli di modifica delle condizioni economiche e questa sentenza li incoraggia. Cos’è l’autosufficienza per una donna che lavora ma deve pagare un muto di 900 euro al mese? Ecco cosa devono decidere i giudici di merito e lo dovranno fare sulla base di una Cassazione che ha cambiato la condizione di diritto».
«Aumenterà la litigiosità tra i litigiosi – prevede l’avvocato Cesare Dal Maso di Vicenza – nella sentenza della Cassazione vedo però anche un contributo volto teso a scoraggiare le brame e le ingordigie di mogli più interessate al calcolo economico e alla vendetta che alla perequazione. Il club delle aspiranti ex mogli, insomma, starà più attento nelle iscrizioni. Si divorzierà come prima forse, ma senza sbranarsi davanti al giudice».
Diversità di accenti e previsioni. Sovrana e indifferente, la Chiesa guarda dall’alto e, a quel che ci dice monsignor Ezio Olivo Busato membro del collegio della Rota Romana, non è interessata più di tanto: «Per la Chiesa il divorzio è inammissibile, la tua parola sia sì sì, no no, i giudici ecclesiastici decidono sulla sussistenza del matrimonio, o c’è o non c’è. Ma una domanda me la pongo: a che serve la separazione? È il tentativo forzato di una possibile riconciliazione? Se sì non funziona: chi si separa non torna indietro. Cosiffatto mi sembra l’ultimo omaggio dello stato italiano all’indissolubilità pretesa da noi preti. Un’ipocrisia. Da cinico mi felicito con i cinici: questa sentenza della Cassazione scoraggerà i divorzi interessati».