Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Coppi il mio idolo, ma Bartali era un grande Adesso tifo per Nibali»

L’intervista 1/

- Matteo Sorio

A ogni domanda, Ennio Doris va in fuga. «Eccomi, scusi ma volevo seguire la tappa sino in fondo», chiede venia per il breve ritardo il fondatore e presidente di Gruppo Mediolanum. Padovano di Tombolo, classe 1940, Doris è una sorta di wikipedia del Giro.

Lei ha scritto tre libri sul ciclismo, Doris: «Un Giro intorno a me» del 2015, «Campioni miei» del 2016 e, appena pubblicato, «100 storie un Giro». Le radici di quest’amore?

«Da padovano, ho iniziato con le tappe sulle Dolomiti. Ripenso volentieri al Pordoi, ‘91, il toscano Chioccioli che si prende la rosa contro ogni pronostico. Cornice: auto o furgone, tifosi accampati, grigliate, poi l’attesa dei corridori ammazzata con panini e vino rosso». Papà devoto di Coppi? «Sì, divento coppiano grazie a mio padre. Coppi è il campione dei campioni. Perché, caso unico, era fortissimo nel passo e al contempo n.1 in salita. Tutto grazie a un difetto fisico, l’ossatura molto gracile e sottile, da cui il rapporto peso-potenza irripetibi­le: se Bartali, scalatore classico, andava su a scatti continui e repentini, Coppi piazzava l’allungo, aumentando il ritmo in maniera fortissima, di modo che nessuno gli stesse a ruota».

Coppiano, però col tempo s’è affezionat­o anche a Bartali, Doris…

«Vero. Pensare che la guerra mondiale fermò Bartali nel cuore della carriera. Un precoce senza eguali: vince il Giro del ’36 a 21 anni, nel ’37 si ripete e se non cadesse da maglia gialla in un torrente vincerebbe anche il Tour, la corsa degli atleti maturi, diventando il più giovane al mondo a centrare l’accoppiata. Come Coppi, Bartali aveva una tempra strepitosa grazie al recupero notturno. L’apoteosi del loro duello fu il Giro del ’49: Cuneo-Pinerolo, le Alpi francesi inserite sull’onda dello show di Bartali al Tour l’anno prima e Coppi che, abbandonat­o dai gregari, ingaggia una sorta di cronometro a 192 km dall’arrivo: tattica folle ma vincente, fu il giorno del mitico “un uomo solo al comando”». Altri eroi del Giro? «Gimondi, che domina l’edizione delle Tre Cime di Lavaredo, ’67. Merckx, forte sul passo ma debole in salita perché pesava troppo. Poi Ocaña: gli spagnoli mi piacciono, sono molto orgogliosi. Un po’ come il bretone Hinault, altro dall’orgoglio smisurato. Infine Moser: una generosità che a volte sconfinava nella sconsidera­tezza». Più di recente? «Ne cito due. Uno è Nibali, che ha pianificat­o bene la carriera: partito come gregario di Basso, ha vinto tutto in età matura e in modo meraviglio­so. L’altro è Contador, che in salita s’alza sui pedali e danza». Tre tappe, Doris… «Prima, la Cavalese-Montecampi­one del ’98: Pantani che dice a Tonkov “non attacco più ma fammi vincere la tappa”, Tonkov che rifiuta e Pantani che gli viene uno scatto d’ira decisivo e rivelatore, perché lì capirà di poter vincere il Giro. Seconda, lo Stelvio del ’75: tutti pensano che Galdos spacchi Bertoglio, ma lui conserva la maglia rosa mettendosi a ruota e non cedendo di un metro. Terza, la cronometro Soave-Verona del 1984: Moser che strappa il trono a Fignon, secondo per secondo, “ce la fa, ce la fa”, “tiene, tiene”, una radiocrona­ca da impazzire…».

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 ??  ?? I miti Gino Bartali e Fausto Coppi, grandi campioni che hanno diviso i tifosi
I miti Gino Bartali e Fausto Coppi, grandi campioni che hanno diviso i tifosi

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