Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Le tappe di montagna, il gusto dell’attesa e il bello del ciclismo»

L’intervista 2/

- M.S.

Ciclismo vuol dire paesaggio, Giro vuol dire scorci d’Italia ed è lì che Egidio Fior quasi torna a commuovers­i: «Organizzai due tappe con arrivo nella mia Castelfran­co Veneto, ‘91 e 2003, al traguardo c’era Piazza Giorgione gremita di gente e la tivù filmò l’intero paese, comprese ovviamente Pala e Villa Bolasco. Dall’Australia e dal Canada mi telefonaro­no alcuni figli di emigrati veneti: ”Non abbiamo mai visto Castelfran­co così bella…”. Mi venne da piangere». Classe ’47, Fior è un gentiluomo della bicicletta che al Giro s’infiamma «per le sortite in alta quota» e appena stacca dal suo albergo e ristorante si butta nel ciclismo, da bussola del panorama giovanile con la Zalf Euromobil Desirèe Fior, squadra che ha lanciato i Fondriest, Savoldelli e tanti altri. Tappe di montagna, Fior… «Le mie preferite. Ho conosciuto il Giro nel ‘62 alla famosa Belluno-Moena: io e mio fratello Giancarlo ci piazzammo a Fiera di Primiero, in Trentino, su una curva. Tra i nostri veneti c’era il mio compaesano Aldo Beraldo, con la Torpado. Nevicava da matti, tanto che bloccarono la tappa sul Rolle: la finirono in 53». Che Giro era? «Erano i tempi di Merckx, Gimondi, Adorni. Il loro passaggio era come un blackout: si fermava tutto». Un campione tra i tanti? «Un n.1, il mio compare Giovanni Battaglin da Marostica, che accompagno personalme­nte alla partenza del Giro ‘81 da Trieste: è l’anno in cui Battaglin si prende la maglia rosa 28 giorni dopo aver vinto la Vuelta, doppietta riuscita fin lì solo a Merckx. Di lui ho vissuto i tempi belli e quelli brutti, dalle cadute sfortunate ai problemi fisici».

Lei e il Giro, Fior, connessi dalla Zalf Euromobil Désirée Fior…

«Fondata nel 1983, ogni anno diventano profession­isti 4-5 corridori e a ogni Giro vedo sempre una quindicina di ragazzi passati da noi. Trovarli lì, a combattere, è una soddisfazi­one. Ne abbiamo lanciati tanti. Penso a Fondriest, Savoldelli, Basso. Di quelli al Giro oggi, Modolo e Boem». Ha voluto bene a tutti… «Il tifo vero lo fai per chi è stato nella tua squadra. Ecco, un altro per cui mi appassiona­i molto è il padovano Giuseppe Beghetto, tre mondiali nella velocità. E poi torno a Battaglin: aveva carattere, in salita faceva il vuoto, ci ha regalato duelli storici con Merckx. Di Fondriest vedevi già che riusciva al primo anno da dilettante. Poi mi piace pensare a un corridore di grande intelligen­za come Ivan Basso». Torniamo alle montagne… «Del Giro adoro il clima d’attesa. Quest’anno, ad esempio, tra le tappe più dure c’è la Pordenone-Asiago, col celebre muro di Ca’ del Poggio e il Monte Grappa. Vedo gente che si prepara già adesso, famiglie intere che come una volta prenderann­o giorno di ferie e andranno su in tenda. Bello».

Bello anche farselo raccontare, il Giro?

«Il piacere massimo era leggere Bruno Raschi su La Gazzetta dello Sport. Con lui vincemmo pure una bottiglia di champagne: un albergator­e della Val Badia mi sfidò, “vediamo se mi fai arrivare qui il Giro”, io raccolsi e grazie a Raschi gli misi il traguardo a San Vigilio di Marebbe».

E i grandi ciclisti nel suo ristorante, Fior?

«Il migliore fu Merckx. Mangiò delle fiorentine 40 x 40: chissà la sua faccia con le diete dei corridori d’oggi…».

Da padovano, ho iniziato con le Dolomiti. Penso al Pordoi, ’91, con Chioccioli che si prende la rosa

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Il tifo nelle tappe di montagna «È il bello del ciclismo» assicura Egidio Fior

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