Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Sono lo scopritore dello Zoncolan: lì Basso è stato grandissimo»
L’intervista 4/
Come ogni anno, il Giro d’Italia chiama un nome: Francesco Guidolin. Se c’è qualcuno che è empatico coi ciclisti, quello è l’allenatore trevigiano, classe ‘55, una vita nel calcio da professionista e l’altra (parallela) nella bici, da cicloamatore provetto e oggi anche general manager della Zalf Euromobil Desirèe Fior, la squadra della sua Castelfranco. «Lo sforzo libera la mente», diceva Guidolin il 24 luglio 2009 - all’epoca allenava il Parma - dopo aver scalato lo Stelvio in 2 ore e 4 minuti. Uno che s’è immerso nella fatica di chi pedala: «Di persona. Ma anche, idealmente, attraverso i grandi cantori. Da fan di Montanelli, ultimamente, ho gustato “Indro al Giro”, la raccolta dei suoi pezzi da inviato del Corriere della Sera».
Le leggende del Giro: dove va il pensiero, Guidolin?
«Parto dal 5 giugno 1988, la tempesta di neve sul Gavia, Van der Velde che passa per primo poi nessuno ha più notizie di lui. “Dov’è Van der Velde?”. Era andato a chiudersi in una casa per riscaldarsi dalla crisi di freddo». Avanti... «La vittoria di Moser al Giro ‘84 in quella splendida cronometro Soave-Verona». Chiudiamo il podio? «Il grande francese Laurent Fignon, che torna al Giro dopo 5 anni e lo vince: 1989». Guidolin e il Giro… «Bisognava uscire in strada, quando passava, tutti fuori dalle classi anche a scuola. Un rito, per piccole e grandi comunità, senza distinzioni. Continuo a uscire anch’io: il tempo si è fermato ai miei 5-6 anni e a Castelfranco in festa». I suoi amori al Giro? «Premessa: purtroppo, ero troppo piccolo, non ricordo i tempi di Coppi. Detto questo, ho adorato Merckx, il più forte in assoluto, e ammirato il coraggio e la generosità di Moser. Impossibile non affezionarsi a Fignon. Poi il belga Roger De Vlaeminck. Degli attuali mi piacciono molto Sagan e Nibali. Ma di fatto…». Di fatto? «Tifo per tutti. Perché so quanto sia difficile e duro il compito di un corridore. E guardo con affetto anche a quelli nominati poco». Ad esempio? «Faccio il nome di un ciclista veneto: credo nessuno sappia che Marco Marcato, nelle classiche del Nord, si piazza sempre tra i primi 20, il che vuol dire andare fortissimo…».
Torniamo al Giro: Zoncolan, Grappa, Stelvio, da un lato c’è lei che scala quelle montagne nelle pause dal calcio e dall’altro ci sono i ciclisti che vi hanno costruito imprese…
«Ricordo lo Zoncolan di Ivan Basso, nel 2010, ero lì quel giorno. Allo Zoncolan ci sono molto legato: credo di averlo “scoperto” e segnalato agli addetti per primo. Nel 2007 l’ho scalato in 56 minuti: per un 50enne non è stata una prestazione da poco». Il Grappa? «Lì ne abbiamo viste tante, di belle. È la mia palestra: quando il tempo è clemente sono sulla salita di Campo Croce a gustarmi fatica e paesaggio». E lo Stelvio? «In tanti, al Giro, l’hanno scalato tra due muri di neve. Io l’ho fatto 3-4 volte: tra le montagne più belle e impegnative».
Cosa significa, per lei, toccare con mano e manubrio le montagne del Giro?
«Significa conoscere quello sforzo. ».