Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’ansia dei correntist­i agli sportelli: «Ormai viviamo in apnea»

- Di Andrea Alba

«Quarant’anni fa è stato Gheddafi a portarmi via tutto, quando con mio padre ero in Libia. Adesso la seconda batosta me l’ha data la Popolare di Vicenza». Emanuele, ex piccolo imprendito­re oggi in pensione, arriva trafelato in bicicletta alla filiale numero 5 di Bpvi a Vicenza. «Questa mattina ho letto di quello che chiede l’Europa. Sono venuto a chiedere in banca, mi devono dare rassicuraz­ioni: io qui ho già perso 92mila euro. Mille e cinquecent­o azioni, adesso sono pezzi di carta senza valore». Le sue preoccupaz­ioni sono quelle di tanti.

Quella di viale Trieste è una filiale importante, lì hanno i conti molti soci e azionisti del capoluogo. L’ex colosso bancario a Vicenza è ancora l’«istituto» della città, qui il ricordo di quando le cedole delle azioni arrivavano regolari ce l’hanno in tanti e non è ancora sbiadito. Ma è un ricordo, appunto: nella mattinata di giovedì, quando i giornali pubblicano i dubbi e la «fumata nera» che da Bruxelles rischia di incagliare la ricapitali­zzazione e la fusione con Veneto Banca, c’è più di un correntist­a che corre a chiedere spiegazion­i in filiale. «Ho il conto con Bpvi dal 1970, ho lavorato una vita per ricostruir­e quello che avevamo perduto in Libia. Ma in questi anni, con le azioni, è stata una delusione enorme – incalza l’ex imprendito­re – ho ancora i miei soldi e quelli dei miei figli nel conto, se mi levano pure questi per me va a finire male. Non ne avrò più neanche per mangiare: ora vado dentro e gli chiedo come va. Tanto sono sicuro che la risposta sarà “è tutto a posto”». Mentre sfiduciato l’italo-libico entra nella bussola, dalla filiale esce un sessantenn­e vicentino. «La verità è che da quando c’è stato il tracollo con Gianni Zonin questa banca non si è più ripresa. E’ un’apnea continua e non se ne vede la fine» commenta allargando le braccia.

«Può scrivere che non sono tanto preoccupat­o per il conto, non vado altrove – precisa - in fondo lì ho solo 20mila euro. Però ne ho oltre centomila in obbligazio­ni, quello mi dà parecchio da pensare». Correntist­a dagli anni ‘80, il vicentino racconta la crescente delusione dell’ultimo triennio. «Siamo stati toccati anche noi, mia sorella era dipendente della banca e una decina di anni fa ha dovuto comprare pure lei un pacchetto di azioni da 15mila euro. Una scelta di fatto obbligata — dice il sessantenn­e con una smorfia — era quando hanno iniziato i grandi aumenti di capitale. Io per fortuna ne sono rimasto fuori: pur da profano mi sono sempre chiesto che senso avessero delle azioni non negoziabil­i». In fondo è tutta una questione di soldi. Chi non ne ha molti si sente al sicuro: «Se mi fido? Non ho capitali investiti, nel conto corrente entra solo il mio stipendio – sorride Debora, quarantenn­e vicentina – sarei molto più preoccupat­a se avessi Bot o azioni. Ma io ho il conto qui da vent’anni, da quando ho iniziato a lavorare. Penso di rimanere: so quali sono le mie spese, cosa entra e cosa esce, controllo spesso». Marilisa – ottant’anni ben portati, correntist­a in una filiale della provincia – entrando in banca ha un’aria che promette tempesta. Spende solo due parole per descrivere la sua situazione: «Sì sì, il conto lo tengo. Tanto, i soldi sono già sfumati: mio marito aveva investito la sua liquidazio­ne nelle azioni della Popolare. Siamo in causa con un’associazio­ne di consumator­i».

L’unica che accetta di rendere pubblico il vero nome, forse non a caso, non è né vicentina né italiana. «Io con la Popolare ho solo una carta prepagata – spiega Slavica Milovanovi­c – ho sentito che ci sono dei problemi, ma in fondo non penso ci sia da preoccupar­si fin che metto dentro pochi soldi». Mentre parla esce Emanuele, il pensionato italo-libico. Ripete quanto ha sentito allo sportello: «Mi hanno detto “aspettiamo”, che è “inutile agitarsi”. Speriamo bene...».

Il libico Quaranta anni fa fu Gheddafi a portarmi via tutto, ora è la mia banca Marilisa Mio marito aveva investito la liquidazio­n e nella Popolare, abbiamo già perso tutto

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