Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’uomo aveva i calcoli già novemila anni fa
Dalle tombe del Nilo alla città del Santo. I calcoli (alla prostata) esistono da 9mila anni. La scoperta che sposta indietro di mezzo millennio la comparsa della patologia arriva dal Sudan e approda all’ateneo di Padova, documentata dai ricercatori del Bo.
I calcoli alla prostata esistono da novemila anni. La scoperta che sposta indietro di mezzo millennio la comparsa della patologia arriva dal Sudan e approda all’università di Padova: il Centro studi sudanesi e sub-sahariani di Treviso ha donato al Museo di Antropologia del Bo i reperti di 176 individui emersi dal cimitero preistorico di Al Khiday, sponda sinistra del Nilo bianco, compreso quel che resta del primo paziente al mondo affetto da calcolosi prostatica. Le sepolture, rinvenute in un’area cimiteriale di circa 1.500 metri quadri, risalgono a quattro gruppi cronologici, dal pre-mesolitico al meroitico passando per mesolitico e neolitico. Tra teschi, ossa e gioielli sepolti accanto ai defunti ci sono tre sfere che hanno attirato le attenzioni degli studiosi, anche perché due di queste hanno un diametro di tre centimetri e pesano ben 12-15 grammi. Tutto farebbe pensare ai calcoli renali, molto più diffusi nell’antichità. E invece le analisi dei ricercatori padovani del dipartimento di Geoscienze hanno confermato l’origine prostatica dei super-calcoli, dovuti ad infezioni batteriche che finora si pensavano legate all’introduzione sistematica di attività con gli animali: allevamento e pastorizia. Prima del reperto sudanese, che con ogni probabilità contribuì alla morte del malato in età avanzata, l’esempio più antico di calcoli alla prostata riguardava un uomo vissuto in Sicilia nel 6.500 avanti Cristo: la nuova scoperta consente dunque a questa forma di calcolosi di «avanzare» dal mesolitico al pre-mesolitico. La maggior parte dei reperti risale proprio all’epoca pre-mesolitica ed è in posizione prona; in generale l’età massima è di 50 anni, c’è qualche bambino e l’altezza media scende dai 175 centimetri del pre-mesolitico (clima umido) ai 158 del meroitico (clima arido). Oltre ai calcoli si segnalano un femore fratturato, un omero con frattura scomposta, una mandibola con ascessi e tartaro, molte altre senza incisivi superiori anteriori: «Probabilmente era un rituale di passaggio dalla pubertà all’età adulta, sostituito con l’asportazione degli incisivi inferiori nel neolitico – spiega Donatella Usai, archeologa del Centro studi sudanesi -. Le analisi del tartaro hanno dimostrato che questi individui mangiavano un tubero che dovrebbe rallentare la formazione della carie, anche se di carie ne abbiamo trovate molte. Ora aspettiamo le analisi genetiche, che potranno darci altre informazioni sulla relazione tra cambiamenti culturali e ambientali». In passato, non avendo trovato spazio idoneo in Italia, un patrimonio analogo è finito al British Museum. E al Bo una collezione da necropoli così grande non si era mai vista: «Questi reperti contengono una miniera di informazioni e faranno parte dell’allestimento per festeggiare i nostri 800 anni – commenta Telmo Pievani, delegato del rettore Rosario Rizzuto -. Il nostro obiettivo è trovare un luogo per conservarli e uno per esporli a poca distanza l’uno dall’altro».