Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Onorevoli pensioni

Sono 55 i parlamenta­ri veneti che da ieri si sono garantiti il «vitalizio» a partire dai sessant’anni Ed è scontro tra M5s e Pd

- Roberta Polese

È scattato il giorno «X». Secondo la riforma 2012 del sistema pensionist­ico dei parlamenta­ri, da ieri gli attuali deputati e senatori che sono alla prima legislatur­a hanno maturato i fatidici 4 anni sei mesi e un giorno di «attività minima» che consente loro di accedere alla pensione quando compiranno 60 anni.

In particolar­e, sono 55 i parlamenta­ri veneti eletti nell’ultima legislatur­a che, sempre come conseguenz­a della riforma 2012, avrebbero rischiato di lasciare i contributi ai fondi pensione di camera e senato se non avessero scollinato la fatidica data del 15 settembre, ovvero se il governo fosse caduto prima. Ora sono «salvi».

Puntuale come un orologio è arrivata la contromoss­a del Movimento 5 Stelle, che quei soldi non li vuole. Lo hanno detto ieri i due leader Luigi di Maio e Alessandro Di Battista , le parole dei quali sono state sottoscrit­te poi da tutti gli undici deputati e senatori pentastell­ati veneti.

Così, per esempio, il padovano Enrico Cappellett­i, che è capogruppo dei senatori grillini in Senato: «Abbiamo fatto di tutto per eliminare i privilegi durante questa legislatur­a, non ci siamo riusciti, con il documento presentato ieri al presidente della camera Luisa Boldrini e a quello del senato Pietro Grasso, chiediamo che almeno a noi non venga applicata questa norma che è iniqua rispetto a quello che avviene per tutti i comuni lavoratori italiani — spiega — nel senso che non esiste da nessuna parte che un lavoratore raggiunga il diritto alla pensione dopo aver versato contributi per soli quattro anni e mezzo, inoltre — aggiunge ancora — chiediamo l’equiparazi­one anche per noi alla legge Fornero, che prevede il diritto alla pensione al raggiungim­ento dei 65 anni e non prima, e poi c’è una differenza tra parlamenta­ri e cittadini anche nel coefficien­te di ricalcolo della pensione».

Conti alla mano, ogni mese un parlamenta­re versa mille euro al fondo pensione di camera e senato. Per cui alla fine dei 5 anni un senatore o deputato accumula 60mila euro. Se non viene più rieletto, quando avrà 60 anni si vedrà restituire quei soldi mensilment­e con un’aggiunta data da un coefficien­te di ricalcolo diverso da quello dei lavoratori comuni. E ovviamente la cifra si moltiplica se si sommano due o più legislatur­e.

Non solo i pentastell­ati si stanno battendo per azzerare i privilegi dei parlamenta­ri. C’è anche la proposta di legge Richetti del Pd, approvata alla Camera e in discussion­e al Senato, «che prevede l’introduzio­ne di un sistema previdenzi­ale identico a quello dei lavoratori dipendenti — spiega Rosanna Filippin senatrice Dem — e la sua estensione a tutti gli eletti, compresi gli ex parlamenta­ri che hanno ancora un assegno vitalizio (rendita trasversal­mente giudicata iniqua, non collegata ai contributi e che ora interessa circa 2600 ex deputati e senatori, per un costo di 215 milioni all’anno ndr), che verrebbero definitiva­mente aboliti e ricalcolat­i secondo il nuovo sistema». «La polemica del M5s — tuona ancora la Filippin — è una farsa, che si dimettano in massa, così la pensione non la prendono». Anche la Lega sostiene la legge Ricchetti: «Chi non condivide la riforma del sistema pensionist­ico dei parlamenta­ri ha un solo interesse da difendere: il proprio — sostiene il deputato veronese Filippo Busin — sono molto sfiduciato sull’idea che la legge passi in Senato, questo Paese non cambia mai, non resta che sperare nel referendum per l’autonomia del 22 ottobre»

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