Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Onorevoli pensioni
Sono 55 i parlamentari veneti che da ieri si sono garantiti il «vitalizio» a partire dai sessant’anni Ed è scontro tra M5s e Pd
È scattato il giorno «X». Secondo la riforma 2012 del sistema pensionistico dei parlamentari, da ieri gli attuali deputati e senatori che sono alla prima legislatura hanno maturato i fatidici 4 anni sei mesi e un giorno di «attività minima» che consente loro di accedere alla pensione quando compiranno 60 anni.
In particolare, sono 55 i parlamentari veneti eletti nell’ultima legislatura che, sempre come conseguenza della riforma 2012, avrebbero rischiato di lasciare i contributi ai fondi pensione di camera e senato se non avessero scollinato la fatidica data del 15 settembre, ovvero se il governo fosse caduto prima. Ora sono «salvi».
Puntuale come un orologio è arrivata la contromossa del Movimento 5 Stelle, che quei soldi non li vuole. Lo hanno detto ieri i due leader Luigi di Maio e Alessandro Di Battista , le parole dei quali sono state sottoscritte poi da tutti gli undici deputati e senatori pentastellati veneti.
Così, per esempio, il padovano Enrico Cappelletti, che è capogruppo dei senatori grillini in Senato: «Abbiamo fatto di tutto per eliminare i privilegi durante questa legislatura, non ci siamo riusciti, con il documento presentato ieri al presidente della camera Luisa Boldrini e a quello del senato Pietro Grasso, chiediamo che almeno a noi non venga applicata questa norma che è iniqua rispetto a quello che avviene per tutti i comuni lavoratori italiani — spiega — nel senso che non esiste da nessuna parte che un lavoratore raggiunga il diritto alla pensione dopo aver versato contributi per soli quattro anni e mezzo, inoltre — aggiunge ancora — chiediamo l’equiparazione anche per noi alla legge Fornero, che prevede il diritto alla pensione al raggiungimento dei 65 anni e non prima, e poi c’è una differenza tra parlamentari e cittadini anche nel coefficiente di ricalcolo della pensione».
Conti alla mano, ogni mese un parlamentare versa mille euro al fondo pensione di camera e senato. Per cui alla fine dei 5 anni un senatore o deputato accumula 60mila euro. Se non viene più rieletto, quando avrà 60 anni si vedrà restituire quei soldi mensilmente con un’aggiunta data da un coefficiente di ricalcolo diverso da quello dei lavoratori comuni. E ovviamente la cifra si moltiplica se si sommano due o più legislature.
Non solo i pentastellati si stanno battendo per azzerare i privilegi dei parlamentari. C’è anche la proposta di legge Richetti del Pd, approvata alla Camera e in discussione al Senato, «che prevede l’introduzione di un sistema previdenziale identico a quello dei lavoratori dipendenti — spiega Rosanna Filippin senatrice Dem — e la sua estensione a tutti gli eletti, compresi gli ex parlamentari che hanno ancora un assegno vitalizio (rendita trasversalmente giudicata iniqua, non collegata ai contributi e che ora interessa circa 2600 ex deputati e senatori, per un costo di 215 milioni all’anno ndr), che verrebbero definitivamente aboliti e ricalcolati secondo il nuovo sistema». «La polemica del M5s — tuona ancora la Filippin — è una farsa, che si dimettano in massa, così la pensione non la prendono». Anche la Lega sostiene la legge Ricchetti: «Chi non condivide la riforma del sistema pensionistico dei parlamentari ha un solo interesse da difendere: il proprio — sostiene il deputato veronese Filippo Busin — sono molto sfiduciato sull’idea che la legge passi in Senato, questo Paese non cambia mai, non resta che sperare nel referendum per l’autonomia del 22 ottobre»