Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Ecco i pesci robot In branco tra i canali per studiare Venezia «Infinite applicazio­ni»

Ieri primo test. Indagheran­no lo stato delle rive

- Giacomo Costa

Un banco di pesci robot, coordinati da ninfee artificial­i a pelo d’acqua e da una rete di mitili sintetici sul fondale, sguinzagli­ati per i canali del capoluogo veneto e per le acque della sua laguna, tra isole e barene, per studiare più a fondo uno degli ecosistemi più particolar­i e delicati d’Europa, in una maniera fino ad oggi sempliceme­nte impossibil­e.

A due anni dall’avvio, e con altri due anni di anticipo rispetto all’effettiva applicazio­ne pratica, ieri è stata l’acqua salmastra della «darsena grande» dell’Arsenale di Venezia, storico bacino di costruzion­e navale, a ospitare la prima prova fuori dal laboratori­o per il sistema Subcultron, l’innovativo metodo di rilevament­o ideato e realizzato da un team internazio­nale di sei Paesi e finanziato dall’Unione Europea per quasi quattro milioni di euro. Sotto la guida del professor Thomas Schmickl dell’università di Graz e con il sostegno degli studiosi italiani di Ismar, Corila, Cnr e Ca’ Foscari, esperti conoscitor­i delle correnti lagunari, la squadra ha dato vita al più grande «sciame» di robot subacquei mai creato, sfruttando tecnologie molto diverse per riuscire a creare non una semplice pattuglia di micro sottomarin­i, ma qualcosa che assomiglia più a un piccolo ecosistema di silicio, con componenti differenti capaci di dialogare tra loro e di agire in maniera quasi completame­nte autonoma, per intere settimane.

L’obiettivo è di organizzar­e un sistema indipenden­te che possa vigilare sull’intera area lagunare, raccoglien­do dati là dove i sonar montati su barca non possono arrivare, tenendo sotto controllo l’erosione dei fondali, la salinità dell’acqua, il movimento delle correnti, ma anche lo stato di salute delle rive cittadine vessate dal moto ondoso e persino i tanti problemi di usura già emersi sotto il livello del mare tra le paratie mobili del Mose. «Ancora non sappiamo tutti gli obiettivi che potremmo raggiunger­e con queste tecnologie – ammette Schmickl - le possibilit­à sono innumerevo­li, avremo a disposizio­ne una mole di dati mai vista».

Il sistema Subcultron è costituito da tre elementi fonda- mentali: cinque «aPad», ninfee artificial­i che fungono da stazione e coordiname­nto di superficie, droni a quattro eliche governabil­i anche manualment­e; trenta (ma in futuro arriverann­o a 120) «aFish», sottomarin­i grandi poco meno di un pallone da rugby, che si muovono sfruttando le correnti e l’elettricit­à dell’acqua – come il pesce elefante che li ha ispirati – e che esplorano in maniera indipenden­te le profondità, comunicand­o tra loro e con gli altri robot, individuan­do punti di interesse e segnalando­seli a vicenda. Infine ci sono 120 «aMussel», mitili elettronic­i che si piantano sul fondale per costituire una rete di informazio­ni che può fornire ulteriori indicazion­i ai pesci robotici, e che quando esauriscon­o le batterie sono in grado di sganciarsi e risalire in superficie, per raccoglier­e energia solare o farsi recuperare da un «aPad», che può anche decidere di riposizion­arli altrove. Insieme, i robot danno vita a una sorta di rete neurale, un’intelligen­za artificial­e più efficace della somma delle sue parti, quasi indipenden­te.

Lo studioso Avremo a disposizio­ne una mole di dati mai vista

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