Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Fiction 2.0» il libro di Mozzi fra realtà e illusione
La nuova opera «2.0» dello scrittore riprende il libro del 2001 mescolando vissuto e narratori inesistenti in una dimensione complementare: «Scrivere racconti mi serve a dare ai fantasmi, i personaggi, una consistenza»
Giulio Mozzi ha fatto coincidere la propria storia di narratore con quella del secolo scorso. In questo si è dedicato, oltre che ai testi degli altri, a ripercorrere i propri passi, tornando sui suoi testi narrativi per ristamparli con i ripensamenti che intanto gli sembravano indispensabili, in qualche caso appena percepibili tanto erano lievi e «formali», veri e propri ritocchi. In altri, invece, profondi e strutturali, tanto che il libro che ora abbiamo di fronte è davvero un altro rispetto al precedente e suggerisce, quindi, diverse riflessioni e proposte interpretative: è il caso di questo «Fiction 2.0» (Laurana, pp. 284, € 15,90), che riprende un precedente Fiction (Einaudi 2001), ora liquidato dall’autore come «un libro sbagliato, costituito di fatto da due libri che non potevano stare insieme». Allora, nella fretta di chiudere i conti col secolo e con il millennio, lo scrittore, «che ormai, come narratore, era o si sentiva - prossimo alla fine», aveva messo insieme «un po’ di tutto», puntando sul fatto che a tenerlo insieme sarebbe bastata la tensione che aveva deliberatamente aperto tra la vita e la letteratura, o tra la realtà e la finzione, nella certezza di non trovarsi di fronte a un’alternativa, ma a due facce della stessa medaglia, a due aspetti complementari - e inscindibili - che inevitabilmente sulla pagina interagiscono.
Su questo ruolo espressivo della tesa contraddizione che attraversa i suoi racconti - all’inizio tra minimalismo e massimalismo Mozzi ha sempre puntato molto, quasi che in essa, comunque descritta nelle coppie antinomiche cui ha fatto ricorso, esprimesse con la massima forza la volontà di andare oltre la registrazione dell’esistente, la semplice presa d’atto della «crisi», e indicasse un percorso a venire non ingenuamente dialettico, anzi coraggiosamente proiettato a restituire integrità al messaggio. «Il nostro compito spiega paziente - non è compiere il libro dei libri, bensì continuarlo». Perché proprio «questa incompiutezza è la nostra speranza» e «la storia che fu iniziata nella creazione, prosegue in me codesima me in chiunque, e nella storia d’amore tra me o chiunque e il dio». Insomma, «ciò che appare insensato a chi non vuole trovare il senso, appare sensato a chi vuole trovarlo». Narratology sta al centro di Fiction 2.0 come una chiave di volta che può restituire ordine a un progetto di scrittura che agilmente si sviluppa lungo i sentieri di un’ardita sperimentazione, che per un verso si imme- negli altri, ricostruendo con fedeltà le cronache di un vissuto, e per l’altro inventa una pluralità di narratori inesistenti per costringerli a confidarsi nell’autofiction: chi rinuncia a prendere direttamente la parola è proprio l’autore, che confessa umilmente: «Io non so nulla... ciò che scrivo non ha pretesa di verità - è un tentativo di verità, un’approssimazione alla verità: forse un errore - e non ha pretesa di novità». Mozzi si impegna a sciogliere i nodi di un’avventura letteraria che tende a ingarbugliarsi tornando sui suoi passi, per non lasciare inesplorata nessuna via d’uscita, ogni volta scontrandosi con altri imprevisti ostacoli: basta Bianca, un catalogo a dare conto che l’opera conserva ambizioni di compiutezza nonostante il suo continuo dissolversi in una irriducibile precarietà, lo stesso personaggio femminile compare, magari con altro nome, libro dopo libro, finalmente protagonista nel racconto che intitola nel Male naturale (1998), «libro centrale, qualunque giudizio se ne dia, dell’opera di Mozzi».
In fondo scrivere racconti serve a «dare a questi fantasmi - i personaggi, o cosa resta di loro - una consistenza in più e magari una casa», in questi testi esiste e si muove «una sorta di ectoplasma che diventa visibile via via in forme leggermente differenti», a testimonianza di una fiducia incrollabile e di una rigorosa coerenza che attraversano l’intera opera, rendendola davvero «esemplare» di questo tempo così inquietamente «critico».