Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Consoli, i giudici confermano il sequestro dei beni
C’è la villa di Vicenza, che da sola vale almeno due milioni di euro. Ma ci sono pure i dipinti di Federico Andreotti, quello di Giuseppe Boccaccio (che domina la sala da pranzo), e un costosissimo Lodewijk Toeput, che potrebbe sfiorare i centomila euro di valore. Ma la passione per l’arte, aveva spinto Vincenzo Consoli ad arredare l’abitazione anche con una scultura in marmo di carrara di Guglielmo Pugi e un’altra attribuita a Francesco Barzaghi. E poi i due vasi giapponesi e l’arazzo del XVIII secolo e la coppia di tappeti e le icone russe. E tanto altro.
Tutto sotto sequestro, come i conti corrente intestati a lui e alla moglie. I sigilli erano stati disposti dalla procura di Roma, che ha indagato l’ex amministratore delegato di Veneto Banca per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. E martedì il provvedimento è stato ribadito dalla Cassazione, alla quale Vincenzo Consoli e la consorte Maria Rita si erano rivolti chiedendo la restituzione dei beni.
La tesi, sostenuta dagli avvocati Franco Coppi e Alessandro Moscatelli, era che le uniche cose «sequestrabili» fossero quelle «concretamente utilizzate per la commissione del reato» e quindi, semmai, la guardia di finanza avrebbe dovuto puntare ai beni di Veneto Banca, non a quelli del suo ex manager. Per quanto riguarda la moglie di Consoli, invece, doveva «considerarsi persona del tutto estranea al reato» e, come tale, il suo patrimonio non andava intaccato. Una (piccola) apertura l’aveva dimostrata perfino la procura generale, chiedendo alla Corte di annullare una parte dei sequestri (quelli relativi alle operazioni «Sg Ambient» e «Bim Fiduciaria») per un controvalore di 14 milioni di euro, sui 45 milioni totali.
Invece la sentenza si è abbattuta come una mannaia sull’ex amministratore. Vincolare il patrimonio di Veneto Banca - sostiene la Cassazione - avrebbe significato aggredire «cose appartenenti a persona estranea al reato». E questo è vietato. Anche perché «vi sono ragioni che non consentono di affermare che l’istituto abbia tratto vantaggio dalle operazioni poste in essere da Consoli». Il guadagno era tutto per il manager, visto che la sua condotta è stata «funzionale solo a garantire re il consolidamento e l’accrescimento del potere dell’indagato e delle stretta cerchia di persone a lui facente capo». Stesso principio vale anche per sua moglie, visto che «risulta essere solo la formale intestataria del patrimonio del marito, alla luce dell’evidente sproporzione tra l’ammonta- dei suoi redditi e le consistenze patrimoniali nella sua esclusiva disponibilità (ma anche, ndr) della circostanza che i rilevanti trasferimenti di ricchezza sono avvenuti proprio nel periodo di crisi dell’istituto». Non solo: la Cassazione sottolinea «la mancanza di buona fede» della donna, deducibile «dalle vicende relative alle formazione e alla consistenza della sua disponibilità economica, raffrontate alla posizione del marito».
Resta tutto sequestrato, quindi. Ed è un altro punto a favore per i titolari dell’inchiesta su Veneto Banca.
Intanto, rimanendo in tema di istituti di credito, dopo aver ricevuto l’avviso di chiusura dell’indagine sul tracollo della Banca Popolare di Vicenza, diversi indagati hanno chiesto alla procura berica di essere sentiti. Tra questi, spicca il nome dell’ex presidente Gianni Zonin, indagato (come Consoli) per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza. Per lui si profila quindi un nuovo faccia a faccia con i pm, dopo i due interrogatori di marzo.
La stessa richiesta è arrivata anche dall’ex consigliere BpVi (ed ex presidente di Confindustria Vicenza) Giuseppe Zigliotto, «per chiarire la sua posizione, per spiegare visto ci sono elementi tali a dimostrare che le cose non sono come vengono contestate» ha fatto sapere il suo avvocato, Giovanni Manfredini. Per Zigliotto sarà una prima volta dato che a luglio 2016 aveva scelto la via del silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere.