Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Quando il giovane in carriera rischia il baronaggio
Quando al termine di un percorso universitario che dura in genere cinque anni ( sei, sette o più se si finisce fuori corso) si decide di puntare a una cattedra universitaria, i giovani studenti dovrebbero armarsi di tre fondamentali pre-requisiti: altissima preparazione, grande pazienza e forte passione. Per la maggior parte questo basta. Se si è meno fortunati nella propria carriera tocca fare i conti con la variabile «x»: il barone. Non vale per tutti, non vale sempre, ma le inchieste giudiziarie dimostrano che baroni ci sono e che bisogna farci i conti. Quando interviene il fattore x? Di solito il suo potere si esercita nelle selezioni.
Con una laurea in tasca la prima selezione che si fa è quella del dottorato. Se si vuole ottenere un dottorato, in qualsiasi disciplina, bisogna redigere un progetto e convincere una commissione di prof che quel progetto è così innovativo che val la pena investirci. La commissione dei docenti che lo valuta è formata da tre prof estratti a sorte internamente al dipartimento, che stila una lista di otto, dieci, quindici nomi. I primi della lista (due o tre al massimo) riceveranno una borsa di studio di circa 1000 euro al mese. Gli altri lo potranno fare ugualmenriunione te, ma non verranno pagati. Quando va tutto bene, nella grande maggioranza dei casi, l’università sovvenziona i progetti meritevoli. Quando va male interviene la variabile «x». «Il barone tenderà a consegnare il dottorato con borsa di studio allo studente che magari ha fatto la tesi con lui, che continuerà a lavorare per lui, producendo ricerche che verranno pubblicate su riviste scientifiche a nome del docente stesso facendogli fare bella figura» dice una giovane universitaria all’uscita dal Bo, alle prese con i primi gradini che auspicabilmente la porteranno alla cattedra, dopo aver sputato lacrime e sangue su libri, convegni e favori ai baroni.
Ecco quindi che il dottorato di ricerca è il primo imbuto, il primo tra quei «centri di esercizio del potere di cui un prof dispone senza che vi sia alcun controllo» dice il professor Umberto Curi, editorialista del nostro giornale, ex docente di Storia di Filosofia.
Secondo step: finito il dottorato, dopo tre anni, si può diventare ricercatori di tipo A (che dura tre anni) o di tipo B (che consente di accedere alla selezione per diventare docente). Anche qui c’è una selezione, si presenta un progetto di ricerca e ci si sottopone alla valutazione di una commissione formata docenti del dipartimento nel quale si vuole lavorare. Logica vuole che se il progetto è buono allora si diventa ricercatori pagati con uno stipendio di 1700 euro al mese. Capita però che il progetto buono non basti, e che qualcuno si veda passare avanti altri dottorandi che magari fanno parte della claque del professore. «Si dice spesso che le discipline giuridiche e quelle
mediche siano le più colpite dal baronaggio, ma non è così – spiega Curi - in tutti i dipartimenti ci sono preferenze perpetrate a danno di qualcuno».
Giovani preparati spesso si vedono superare da altri meno qualificati ed è anche difficile smascherarli: la valutazione di un progetto scientifico, seppur scientifico, è articolata: «Ci sono dei parametri standard che vanno valutati nel contesto generale, come succede in tutto il mondo – spiega Paolo Gubitta ordinario di Organizzazione Aziendale e presidente del corso di laurea triennale in Economia all’università di Padova – la valutazione ha sempre un contenuto di soggettività e l’intervento del barone, quando c’è, è un fenomeno patologico che non è la normalità ». Ecco quindi un altro paletto davanti al quale l’aspirante ricercatore si deve piegare. Lo status di ricercatore di tipo B, più difficile da ottenere e che prelude alla selezione per l’abilitazione a docente associato o ordinario, può durare molti anni e sono anni decisivi: si devono pubblicare le proprie ricerche su riviste scientifiche (se si è bravi ce la si fa da soli, ma di solito il barone spinge il «protetto» o mette i bastoni tra le ruote al protetto di un altro, a seconda delle preferenze). Quando si arriva alla selezione nazionale per diventare docenti (quella al centro dell’inchiesta di Firenze ndr) a differenza degli altri imbuti contano le «mediane»: «Le mediane sono state introdotte dalla legge Gelmini, e sono skills, obiettivi, oggettivi che nel curriculum bisogna avere per forza, come il numero di pubblicazioni o citazioni nelle riviste». Nonostante la selezione sia nazionale spesso essere solo bravi non basta. I cattivi commissari fanno i conti della serva: conviene che fuori ci siano docenti bravi? O conviene che ci siano docenti funzionali al sistema messo in piedi dal barone che scegliendo «i suoi protetti» dimostra alla comunità scientifica il peso del suo potere? «A muovere il baronaggio è quasi sempre il potere fine a se stesso» spiega ancora Curi. «Gli antidoti a questo sistema malato ci sono, sono stati imposti per legge - aggiunge ancora Gubitta - la turnazione delle commissioni, l’inserimento di elementi per valutazioni oggettive servono ad arginare l’eccesso di soggettività delle decisioni dei singoli professori, le cose sono cambiate rispetto a 20 anni fa e vanno nella giusta direzione». Il professor Curi è meno ottimista e più tranchant: «I docenti scelgono i propri successori per cooptazione, quasi mai per merito sostiene - bisognerebbe annullare i concorsi: che i prof scelgano i propri pupilli alla luce del sole, e che se ne prendano la responsabilità in caso di incapacità e fallimento, nascondersi dietro a concorsi truccati non serve a nulla». Per il prof il concorso pubblico è solo un puro atto di ipocrisia.
Curi La forza dei baroni sta nei centri di potere non controllati dal sistema