Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ingegnere Co2 che vuol catturare l’effetto serra
L’anidride carbonica è la principale responsabile del riscaldamento climatico del pianeta A Trieste si studia come imprigionarla sotto terra
la Co2 in formazioni geologiche profonde.
A guidare la pattuglia italiana dei laboratori italiani impegnati in questo progetto è l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste.
«L’accordo Eccsel - spiega l’ingegner Michela Vellico tecnologa dell’istituto triestino e responsabile del nodo italiano del network – è nata già nel 2008 su iniziativa della Norvegia dove oggi c’è la sede legale internazionale dell’infrastruttura ed è stato firmato oltre che da noi e dai norvegesi anche da Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. Dopo tre diversi finanziamenti europei che sono serviti a sviluppare tutte le procedure operative, legali e soprattutto scientifiche necessarie a dare concretezza al network, dal giugno 2017 Eccsel è diventata un Consorzio di infrastrutture di ricerca europea (Eric) indipendente. Il ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (Miur) ha nominato l’Ogs referente e nodo nazionale del network a livello europeo e il nostro compito sarà di coordinare l’accesso dei ricercatori, ma anche delle aziende interessate, ai laboratori di Eccsel che si trovano nel nostro Paese. Inoltre – continua – promuoveremo l’inserimento di nuovi laboratori nel consorzio, il confronto tra i soggetti operanti in Italia nel settore della cattura, trasporto e confinamento della Co2 (Ccs), nonché iniziative di formazione per i ricercatori. Il vantaggio di far parte di un network, oltre all’interscambio di informazioni e dati, è che un ricercatore o una persona comunque interessata potrà rivolgersi a Eccsel, trovare all’interno del network il laboratorio che meglio si confà alle sue necessità e usarlo gratuitamente visto che gli accessi sono finanziati da fondi europei».
In Italia attualmente Ogs mette a disposizione del network cinque laboratori: quello di biologia marina di Trieste; la nuova sede operativa Ogs sull’isola di Panarea; il neo inaugurato laboratorio di Latera (Viterbo); la sonda Diplab per studi fisico chimici della Co2 in mare; un aereo equipaggiato con sistemi di telerilevamento.
Il confinamento della Co2 nel sottosuolo, ad almeno mille metri di profondità, è solo uno dei tanti metodi possibili per limitare le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, ma ha potenzialità decisamente interessanti: «L’uomo – spiega l’ingegner Sergio Persoglia dell’Ogs che è anche segretario generale del network Co2Geonet che raggruppa 28 istituti di ricerca europei impegnati sul fronte del confinamento della Co2 – produce la gran parte dell’anidride carbonica bruciando combustibili fossili che si ottengono da giacimenti sotterranei o sottomarini. L’idea del confinamento è di catturare la Co2 laddove è prodotta in quantità, comprimerla per renderla trasportabile e, infine, iniettarla negli spazi che si sono creati nei giacimenti esauriti». Il confinamento in formazioni geologiche che non consentano alla Co2 di risalire in superficie, dovrebbe, dunque, contribuire a contenere l’aumento della temperatura al 2050 entro i 2 gradi centigradi, ma affinché l’apporto di questo metodo sia davvero significativo bisognerà centuplicare le quantità. «Questa tecnica – chiarisce Persoglia – è in uso da decenni in Canada, Usa, Australia e recentemente in Cina. In Europa sono stati fatti pochi esperimenti, ma ci sono due grandi siti attivi nel Mare del Nord in ciascuno dei quali si confina circa 1 milione di tonnellate di Co2 all’anno. In Italia – conclude - al momento non abbiamo siti di confinamento». (c.t.p.)