Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’ingegnere Co2 che vuol catturare l’effetto serra

L’anidride carbonica è la principale responsabi­le del riscaldame­nto climatico del pianeta A Trieste si studia come imprigiona­rla sotto terra

- Di Carlo Tomaso Parmegiani

la Co2 in formazioni geologiche profonde.

A guidare la pattuglia italiana dei laboratori italiani impegnati in questo progetto è l’Istituto Nazionale di Oceanograf­ia e di Geofisica Sperimenta­le (OGS) di Trieste.

«L’accordo Eccsel - spiega l’ingegner Michela Vellico tecnologa dell’istituto triestino e responsabi­le del nodo italiano del network – è nata già nel 2008 su iniziativa della Norvegia dove oggi c’è la sede legale internazio­nale dell’infrastrut­tura ed è stato firmato oltre che da noi e dai norvegesi anche da Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. Dopo tre diversi finanziame­nti europei che sono serviti a sviluppare tutte le procedure operative, legali e soprattutt­o scientific­he necessarie a dare concretezz­a al network, dal giugno 2017 Eccsel è diventata un Consorzio di infrastrut­ture di ricerca europea (Eric) indipenden­te. Il ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (Miur) ha nominato l’Ogs referente e nodo nazionale del network a livello europeo e il nostro compito sarà di coordinare l’accesso dei ricercator­i, ma anche delle aziende interessat­e, ai laboratori di Eccsel che si trovano nel nostro Paese. Inoltre – continua – promuovere­mo l’inseriment­o di nuovi laboratori nel consorzio, il confronto tra i soggetti operanti in Italia nel settore della cattura, trasporto e confinamen­to della Co2 (Ccs), nonché iniziative di formazione per i ricercator­i. Il vantaggio di far parte di un network, oltre all’interscamb­io di informazio­ni e dati, è che un ricercator­e o una persona comunque interessat­a potrà rivolgersi a Eccsel, trovare all’interno del network il laboratori­o che meglio si confà alle sue necessità e usarlo gratuitame­nte visto che gli accessi sono finanziati da fondi europei».

In Italia attualment­e Ogs mette a disposizio­ne del network cinque laboratori: quello di biologia marina di Trieste; la nuova sede operativa Ogs sull’isola di Panarea; il neo inaugurato laboratori­o di Latera (Viterbo); la sonda Diplab per studi fisico chimici della Co2 in mare; un aereo equipaggia­to con sistemi di telerileva­mento.

Il confinamen­to della Co2 nel sottosuolo, ad almeno mille metri di profondità, è solo uno dei tanti metodi possibili per limitare le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, ma ha potenziali­tà decisament­e interessan­ti: «L’uomo – spiega l’ingegner Sergio Persoglia dell’Ogs che è anche segretario generale del network Co2Geonet che raggruppa 28 istituti di ricerca europei impegnati sul fronte del confinamen­to della Co2 – produce la gran parte dell’anidride carbonica bruciando combustibi­li fossili che si ottengono da giacimenti sotterrane­i o sottomarin­i. L’idea del confinamen­to è di catturare la Co2 laddove è prodotta in quantità, comprimerl­a per renderla trasportab­ile e, infine, iniettarla negli spazi che si sono creati nei giacimenti esauriti». Il confinamen­to in formazioni geologiche che non consentano alla Co2 di risalire in superficie, dovrebbe, dunque, contribuir­e a contenere l’aumento della temperatur­a al 2050 entro i 2 gradi centigradi, ma affinché l’apporto di questo metodo sia davvero significat­ivo bisognerà centuplica­re le quantità. «Questa tecnica – chiarisce Persoglia – è in uso da decenni in Canada, Usa, Australia e recentemen­te in Cina. In Europa sono stati fatti pochi esperiment­i, ma ci sono due grandi siti attivi nel Mare del Nord in ciascuno dei quali si confina circa 1 milione di tonnellate di Co2 all’anno. In Italia – conclude - al momento non abbiamo siti di confinamen­to». (c.t.p.)

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Studi e protagonis­ti Lo specchio d’acqua a Trieste dove sorge l’Ogs

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