Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
E il Trentino ora spinge per l’autonomia del Veneto
«Sostegno alle Regioni Veneto e Lombardia nel percorso referendario». La mozione, approvata all’unanimità d’intesa con il governatore Ugo Rossi arriva ieri dal Consiglio provinciale di Trento in pieno dibattito aperto nel Carroccio dopo le dichiarazione del parlamentare leghista Giorgetti («il Veneto? Mai come Bolzano»). I colonnelli veneti: «Andiamo avanti».
È una questione di autonomia ma anche, anzi soprattutto, di soldi. La differenza tra il modello trentino-alto atesino e quello friulano riguarda, certo, le competenze che vengono gestite direttamente sul territorio, maggiori nel primo caso, minori nel secondo. Ma riguarda soprattutto le risorse che le due regioni trattengono laddove sono state generate: circa il 90 per cento delle tasse resta a Trento e Bolzano, contro il 60 per cento circa del Friuli.
Le regioni più ricche che non possono contare sull’autonomia vedono esplodere il proprio residuo fiscale, ovvero la differenza tra quanto danno allo stato e quanto viene loro restituito. La Lombardia vanta un «credito» di 56 miliardi, il Veneto di oltre 18, al pari con l’Emilia Romagna. Non è evidentemente un caso che tutte e tre stiano reclamando più autonomia, le prime due a guida leghista attraverso il referendum del 22 ottobre, l’Emilia Romagna a guida Pd attivando direttamente una trattativa con il governo amico.
Diversi approcci, ma l’approdo finale per tutti è necessariamente lo stesso, ovvero la procedura prevista dall’articolo 116 della Costituzione, quello che individua le cinque ragioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia), ma allo stesso tempo prevede che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», che vengono poi specificate nel successivo articolo 117, possano «essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata».
Il Veneto ha fatto richiesta di un numero molto elevato di competenze, 19, sostanzialmente tutte quelle possibili, perfino la vigilanza sulle casse rurali (contro le sole quattro richieste dall’Emilia Romagna). Tra queste la più pesante riguarda probabilmente la scuola, che non a caso viene gestita direttamente nei soli Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che pagano direttamente gli insegnanti con le risorse dei propri bilanci. Ottenere tutte le competenze richieste, scuola compresa, vorrebbe dire avere anche, dallo Stato, le risorse impiegate oggi per gestirle: una montagna di quattrini. Per il Veneto vorrebbe dire passare di fatto da un regime di finanza «derivata», fatta di trasferimenti dallo Stato, a una finanza compartecipata, senza vincolo di destinazione e al riparo per buona parte dai tagli del governo centrale. In questo modo il Veneto diventerebbe, sostanzialmente, come il Trentino Alto Adige, pur non essendolo dal punto di vista formale, tanto più che la Costituzione riconosce alle sole Province di Trento e Bolzano la possibilità, per le materie di propria competenza, di provvedere in prima persona all’attuazione degli accordi internazionali, compresi quelli dell’Unione Europea. Vorrebbe dire, suggeriscono in molti, far saltare il bilancio dello Stato, che non potrebbe più risorse per finanziare le regioni che spendono più di quanto producono.
È evidentemente per questo che la questione dell’autonomia è così spinosa. Zaia si è convinto che, per sedersi al tavolo, serve qualcosa di più della procedura codificata dai costituenti: un plebiscito.
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