Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Tormenti e genio in 100 lettere

- Fabio Bozzato Isabella Panfido

preparator­i, né come schizzi e appunti, ma come opere complete. «Il disegno è ciò che torna all’origine delle cose, fa insieme al reale il percorso dalla nascita alla morte delle cose, soprattutt­o dei volti», scrive Goldin. Dalla «sgrammatic­atura» degli esordi alla «grazia divinatori­a» della maturità artistica, come un’unica «intima confession­e».

Un secondo baricentro: le lettere. In «Van Gogh prima di Van Gogh» l’autore ripercorre il filo di oltre 150 lettere, tra il 1872 e il 1880, «spesso lunghe molte pagine – racconta – scritte dopo un’estenuante giornata di lavoro e di esplorazio­ni, sul filo di crisi continue, quasi sempre di notte». Le lettere come prolungazi­one di segni e pennellate, quasi un’opera totale, dove le parole sono necessarie quanto il colore, e senza le quali le tele sarebbero afone e il fallimento di Vincent risultereb­be naif invece che insopporta­bile.

Il grande pittore scrive al fratello: «Uno ha un grande fuoco nell’anima e mai nessuno viene a scaldarsi e i passanti non vedono che quel che ne appare per un po’ di fumo in cima al camino, e proseguono per la loro strada». Lo si può immaginare là, in quella «stanza che si fa mondo», come la descrive in dettaglio Goldin, perché – dice - «bisognereb­be andarci, in quella stanza. In un giorno della vita. Con nessuno attorno. E solo a respirare silenzio».

Un terzo baricentro: «la luce come destino»: «La sensoriali­tà di Van Gogh, e la sua attenzione nel percepire la luce non come un fatto concettual­e e mentale, ma piuttosto come un fatto fisico che sprofonda nel misticismo e nella spirituali­tà». E’ il trionfo dei gialli, che abbagliano e intimidisc­ono, spingono dentro ad altri luoghi e diventano «un’onda sonora».

Dai saggi, il catalogo si apre alle «Tavole», seguendo sempliceme­nte le tappe degli spostament­i del pittore, da una città all’altra fino al suo tragico destino. La quantità di disegni, il nugolo di tele, diventano un «Piccolo Atlante» biografico di Vincent, immagine dopo immagine, col ritmo di smarriment­i continui e di slanci improvvisi.

«Di fronte alla natura mi prendono emozioni che giungono fino allo svenimento e allora per quindici giorni non sono più capace di lavorare». Così ammette Van Gogh al critico Aurier nel febbraio del 1890 in una delle circa 900 lettere che il pittore scrisse, per lo più al fratello Théo, dal 1872 alla morte alla fine del 1890. Dall’epistolari­o Goldin ha curato con Silvia Zancanella una scelta di 100 lettere, in una nuova traduzione accuratame­nte annotata, per corredare la mostra di Vicenza con testi originali. Ma, indipenden­temente dalla esposizion­e, l’ottima iniziativa editoriale Vincent van Gogh 100 lettere (Linea d’ombra, pagine 325, euro 18) ha il merito di restituire una dimensione del genio pittorico di Vincent a tutto tondo: la figura dell’artista si arricchisc­e nella confidenza epistolare di note che riguardano la sua sfera intellettu­ale. Uomo colto di ampie e profonde letture, l’artista di Zundert scrive con fluidità ed eleganza di temi letterari, annotando costanteme­nte quanto la lettura andava arricchend­o il suo mondo interiore. Leggendo quelle pagine intense vien da pensare che la sua genialità cromatica non fosse legata alla labilità psichica che gli mostrava una realtà esaltata/alterata, ma alla straordina­ria sensibilit­à visiva corredata da una rarissima facoltà di resa verbale e analisi visuale. Eccone alcuni esempi: «Il Mediterran­eo ha il colore degli sgombri, cioè cangiante, non si è sempre sicuri che sia verde oppure viola, non si è sempre sicuri che sia azzurro, perché, un attimo dopo, il riflesso cangiante assume una tinta rosa o grigia» (a Théo giugno 1888) oppure: «Ora, io ho cercato qualche effetto d’opposizion­e del fogliame cambiando le tonalità del cielo. Talvolta l’insieme è di un azzurro puro e velato nell’ora in cui l’albero fiorisce pallido, quando le grosse mosche blu, i maggiolini smeraldo, e infine le cicale volano numerose tutt’attorno. Poi quando il verde più bronzino assume tonalità più mature il cielo risplende e si riga di verde e d’arancio oppure molto più avanti ancora in autunno quando le foglie assumono le tonalità vagamente violacee di un fico maturo, l’effetto viola si manifester­à in pieno grazie alle opposizion­i del pieno sole biancheggi­ante in un alone di color limone chiaro e impallidit­o» (a Isaäcson, maggio 1890). L’esito è tutt’altro che istintivo, è invece l’ultima tappa di un lungo, sofisticat­o, esclusivo processo di elaborazio­ne intellettu­ale. Altro che genio e sregolatez­za!

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