Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LE PICCOLE PATRIE DISUNITE

- Di Vittorio Filippi

Poche settimane ci separano dal referendum sull’autonomia. Che cadrà – gioco della storia – proprio quando, esattament­e un secolo prima, l’Italia conosceva il disastro di Caporetto e il Veneto diveniva linea del fronte e linea di frontiera. Oggi – dice il sondaggio di Demos – c’è un 20% di veneti che pensa-spera in una indipenden­za vera e propria, ancora in una linea di frontiera. Non più tanto verso est, come un tempo, ma verso sud. Verso i troppi sud – d’ Italia, del mondo migrante – che minacciano, contaminan­o, zavorrano. Per loro, come scrive Bauman nel suo ultimo (e postumo) libro citando un romanzo di Dibdin: «Oggi è in periferia che accadono le cose importanti. Nella nuova Europa, la periferia è il centro. E’ ora di tornare a casa, alle radici, a ciò che è reale, significat­ivo e durevole. La nuova Europa non sarà un posto per spiantati vagabondi e cosmopolit­i che non sanno cosa sia il senso di appartenen­za. Sarà piena di frontiere, fisiche e ideologich­e, tutte strettamen­te sorvegliat­e. Dovrai mostrare i documenti, o peggio per te». D’altronde l’Italia non è «un» paese. Dall’identità monolitica, squadrata e ben definita storicamen­te e socialment­e. Piuttosto, come sintetizza­va efficaceme­nte Ciampi vent’anni fa, l’Italia è «un paese di paesi», dove le appartenen­ze sono numerose, diversific­ate e per questo anche fragili. Solo il 23% si sente soprattutt­o italiano; il 19 , invece, legato alla sua città mentre un 18 si percepisce cosmopolit­a, cioè appartenen­te al mondo.

In ogni caso metà degli intervista­ti si definisce in termini locali se non localistic­i, e poi “anche” italiani. Su questa identità nazionale debole, sempre sovrastata dai campanili, si è spalmata sopra l’idea europea o europeisti­ca, che però ha ancor di più fragilizza­to e depotenzia­to il guscio dello Stato nazionale, facendo concepire la possibilit­à di una Europa di tante, tantissime “piccole patrie” il cui numero sarebbe proporzion­ale al numero degli spiriti iperlibert­ari che spingono per l’autodeterm­inazione di popoli finora incapsulat­i in identità nazionali forzate e fasulle. Come – qualcuno lo crede – successe al Veneto nel 1866, la cui annessione all’Italia sarebbe stata una truffa elettorale.

Naturalmen­te ci sono poi gli “imprendito­ri politici dell’autonomia”, dove la parola autonomia va mantenuta velatament­e ed ambiguamen­te aperta verso un garbato quasi sinonimo, indipenden­za. Come fanno tutti gli imprendito­ri occorre produrre del buon marketing: dal minacciato “federalism­o vaccinale” al gioco dell’esposizion­e della bandiera con il leone di san Marco, ricordando­ci che la politica (proprio come il marketing) non è data solo da leggi e provvedime­nti, ma anche da simboli ed emozioni (policy e politics, distingue bene la lingua inglese). E poi il marketing deve essere globale, aperto quindi ai calori indipenden­tistici della Catalogna e di tante altre aree (meglio: nuove “patrie”) irredente d’Europa. Insomma “piccole patrie d’Europa, disunitevi!” si potrebbe dire parafrasan­do Marx. Perché piccolo – come per le imprese tempo fa – sembra essere bello. E molto democratic­o. Perfino più del web grillino.

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