Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
LE PICCOLE PATRIE DISUNITE
Poche settimane ci separano dal referendum sull’autonomia. Che cadrà – gioco della storia – proprio quando, esattamente un secolo prima, l’Italia conosceva il disastro di Caporetto e il Veneto diveniva linea del fronte e linea di frontiera. Oggi – dice il sondaggio di Demos – c’è un 20% di veneti che pensa-spera in una indipendenza vera e propria, ancora in una linea di frontiera. Non più tanto verso est, come un tempo, ma verso sud. Verso i troppi sud – d’ Italia, del mondo migrante – che minacciano, contaminano, zavorrano. Per loro, come scrive Bauman nel suo ultimo (e postumo) libro citando un romanzo di Dibdin: «Oggi è in periferia che accadono le cose importanti. Nella nuova Europa, la periferia è il centro. E’ ora di tornare a casa, alle radici, a ciò che è reale, significativo e durevole. La nuova Europa non sarà un posto per spiantati vagabondi e cosmopoliti che non sanno cosa sia il senso di appartenenza. Sarà piena di frontiere, fisiche e ideologiche, tutte strettamente sorvegliate. Dovrai mostrare i documenti, o peggio per te». D’altronde l’Italia non è «un» paese. Dall’identità monolitica, squadrata e ben definita storicamente e socialmente. Piuttosto, come sintetizzava efficacemente Ciampi vent’anni fa, l’Italia è «un paese di paesi», dove le appartenenze sono numerose, diversificate e per questo anche fragili. Solo il 23% si sente soprattutto italiano; il 19 , invece, legato alla sua città mentre un 18 si percepisce cosmopolita, cioè appartenente al mondo.
In ogni caso metà degli intervistati si definisce in termini locali se non localistici, e poi “anche” italiani. Su questa identità nazionale debole, sempre sovrastata dai campanili, si è spalmata sopra l’idea europea o europeistica, che però ha ancor di più fragilizzato e depotenziato il guscio dello Stato nazionale, facendo concepire la possibilità di una Europa di tante, tantissime “piccole patrie” il cui numero sarebbe proporzionale al numero degli spiriti iperlibertari che spingono per l’autodeterminazione di popoli finora incapsulati in identità nazionali forzate e fasulle. Come – qualcuno lo crede – successe al Veneto nel 1866, la cui annessione all’Italia sarebbe stata una truffa elettorale.
Naturalmente ci sono poi gli “imprenditori politici dell’autonomia”, dove la parola autonomia va mantenuta velatamente ed ambiguamente aperta verso un garbato quasi sinonimo, indipendenza. Come fanno tutti gli imprenditori occorre produrre del buon marketing: dal minacciato “federalismo vaccinale” al gioco dell’esposizione della bandiera con il leone di san Marco, ricordandoci che la politica (proprio come il marketing) non è data solo da leggi e provvedimenti, ma anche da simboli ed emozioni (policy e politics, distingue bene la lingua inglese). E poi il marketing deve essere globale, aperto quindi ai calori indipendentistici della Catalogna e di tante altre aree (meglio: nuove “patrie”) irredente d’Europa. Insomma “piccole patrie d’Europa, disunitevi!” si potrebbe dire parafrasando Marx. Perché piccolo – come per le imprese tempo fa – sembra essere bello. E molto democratico. Perfino più del web grillino.