Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Pugnalò l’ex alle spalle, trent’anni di carcere al body-builder Tomasi
Vicenza, condannato il 39enne Davide Tomasi. L’ira dei parenti della vittima: «Cosa si deve fare per l’ergastolo?»
VICENZA Trent’anni in carcere la condanna per aver accoltellato, uccidendola, la sua ex, Monica De Rossi. Ieri la sentenza per l’imprenditore body-builder Davide Tomasi.
VICENZA Trent’anni di reclusione per aver ucciso la sua ex, Monica De Rossi, che aveva tentato di riconquistare in tutti i modi dopo che lei lo aveva lasciato, soffocata dalla sua gelosia ossessiva.
Trent’anni per aver strappato la 47enne di Grisignano di Zocco ai suoi tre figli, uno ancora minorenne. Per aver premeditato il delitto, tanto che due mesi prima aveva anche tentato di recuperare clandestinamente una pistola senza riuscirci. Per aver attirato quella donna di 10 anni più grande che sapeva «non più sua» in trappola, senza lasciarle chance di sopravvivenza.
Partiva dall’ergastolo il calcolo della pena inflitta ieri mattina in tribunale a Vicenza a Davide Tomasi, imprenditore 39 anni di Grumolo delle Abbadesse che il 4 aprile 2016 ha pugnalato alla schiena la sua ex in una villetta disabitata di Poiana di Granfion, frazione di Grisignano di Zocco. Lo sconto di un terzo previsto dal rito scelto, l’abbreviato, gli ha permesso di arrivare a 30 anni di carcere, così come sentenziato dal giudice Cristina Arban che lo ha assolto per le molestie e l’aggravante dei futili motivi ma ha riconosciuto l’omicidio premeditato.
Sì perché il titolare di palestra a Campodoro (Padova) e bodybuilder, che stando alla perizia psichiatrica dopo la fine della relazione aveva sviluppato «rabbia, ansia e umore depresso», non avrebbe lasciato nulla al caso. Aveva convinto l’ex compagna, agente immobiliare, a mostrargli una casa in vendita e una volta soli l’aveva colpita alle spalle con un coltello da combattimento che aveva nascosto sotto il calzino. Quindi l’aveva trascinata in una stanza sgabuzzino, dove aveva chiuso a chiave la porta da dentro prima di svenire accanto al cadavere e cadere in uno stato comatoso per la dose massiccia di insulina assunta assieme ad una bottiglietta di ansiolitico (il Delorazepam, per la cronaca).
Secondo i piani di Tomasi — e secondo i suoi racconti — quello sarebbe dovuto essere un omicidio suicidio, ma lui è sopravvissuto. Finendo a processo visto che per il perito del giudice lui sapeva benissimo quello che faceva.
Ieri la condanna di primo grado. «Troppi pochi 30 anni, l’avrei fatto marcire in carcere quell’animale, mi ha fatto schifo vederlo in aula», il commento di Giada, figlia della vittima, fuori dal tribunale con una decina di amici e parenti.
«Che cosa bisogna fare per avere l’ergastolo? Uccidere un camion di persone?», lo sfogo del figlio 17enne. «Per l’omicidio volontario ci vorrebbe l’ergastolo per legge; per chi si arroga il diritto di togliere la vita a qualcuno, uomo, donna o bambino che sia, non dovrebbe esserci lo sconto di nemmeno un giorno — la dichiarazione di Paola De Rossi, la sorella — : solo l’ergastolo appunto, che paghi con la sua vita, vivo ma in galera per sempre». Per lei e per gli altri cinque fratelli e sorelle il giudice ha disposto, compresi i tre figli, un primo risarcimento (il resto si stabilirà in sede civile) per oltre un milione di euro in totale.
Una cifra che potrebbe rimanere solo sulla carta. Di 2 milioni la richiesta danni complessiva sollecitata dai parenti, costituitisi parti civili con gli avvocati Marco Dal Ben, Carlo Andrea Robotti, Pierandrea Setzu e Renato Chiesa.
«Quell’uomo non ha ucciso solo Monica, ha fatto una serie di vittime: i figli, noi fratelli e coloro che le volevano bene», sono state ancora le parole di Paola De Rossi. In aula, dove Tomasi si è presentato scortato dagli agenti della penitenziaria ed è rimasto con lo sguardo basso tutto il tempo, dopo la lettura della sentenza c’è stato anche qualche attimo di tensione con i parenti della vittima, che lo hanno avvicinato dicendo «dimmi perché?» e pare anche strattonandolo.
«Il mio cliente era visibilmente scosso, per la pena inflitta e anche per quest’episodio», fa sapere l’avvocato Letizia De Ponti, che annuncia di voler ricorrere in Appello, una volta lette le motivazioni. Il legale, che aveva insistito per l’assoluzione dalle molestie, ribadisce la gravità della patologia di Tomasi, un parziale vizio di mente stando al suo consulente ma non al perito del giudice.