Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Le onde gravitazionali portano in Italia il fisico padovano che le vide per primo
Drago lascia Hannover per L’Aquila: «Dopo la scoperta mi chiamano tutte le scuole»
E sono cinque. L’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) ha annunciato ieri la scoperta del quinto episodio di onde gravitazionali negli ultimi due anni, il primo scaturito dalla fusione tra due stelle di neutroni (e non tra due buchi neri come gli altri quattro osservati in precedenza) a 130 milioni di anni luce dalla Terra, avvistato dalla collaborazione internazionale Ligo-Virgo lo scorso 17 agosto con l’aiuto di 70 osservatori in tutto il mondo. La rivelazione è stata accolta con grande entusiasmo, ma non è l’unica buona notizia del giorno. Oltre al nuovo caso di studio, infatti, la comunità scientifica italiana può festeggiare il ritorno in patria del fisico padovano Marco Drago, 36 anni, che il 14 settembre del 2015 fu il primo scienziato al mondo a vedere le onde gravitazionali predette cent’anni prima da Albert Einstein insieme al collega Gabriele Vedovato del gruppo Virgo Infn Padova-Trento.
Drago, cervello in fuga con laurea a Padova e dottorato a Trento, lavorava in Germania al Max Planck Institute di Hannover da settembre 2014; tre anni dopo ha ricevuto e accettato l’offerta del Gran Sasso Science Institute, che lo aspetta a L’Aquila dal prossimo novembre. Cosa si porta dietro di questi tre anni ad Hannover?
«È stata un’esperienza formativa importante. Ero circondato da colleghi europei, americani, indiani e cinesi in continua rotazione, una situazione che ti arricchisce molto e che purtroppo in Italia non si vede spesso. All’estero si lavora in modo diverso, sia perché le risorse a disposizione sono superiori sia perché il rapporto con colleghi e responsabili è più limitato: in Italia c’è un confronto costante, in Germania c’è più autonomia e mi piacerebbe mantenerla».
Il rientro in patria era previsto o si è materializzato all’improvviso?
«Nel 2014 ero partito con l’intenzione di tornare, sono contento di esserci riuscito perché non era così scontato. Andare all’estero fa parte del percorso, il problema è che per molti ricercatori come me non è una scelta ma una necessità. Fino all’annuncio della prima scoperta non ho ricevuto nessuna offerta, poi si è aperta qualche posizione e mi sono anche candidato, ma ci sono tanti altri colleghi meritevoli e ne hanno approfittato loro».
Sia sincero: l’Italia regge il confronto con la Germania? O per tornare indietro ha dovuto rinunciare a qualcosa?
«L’offerta che ho accettato non è proprio uguale alle condizioni che c’erano ad Hannover, ma comunque è soddisfacente. Avrò un assegno di ricerca a tempo determinato rinnovabile fino a un massimo di sei anni: sarebbe meglio un contratto a tempo indeterminato, ma intanto mi accontento».
Com’è cambiata la sua vita dopo la scoperta del 2015, premiata con il Nobel per la Fisica a tre scienziati americani giusto due settimane fa?
«Nei primi mesi mi cercavano tutti, ora la situazione è più tranquilla ma ricevo ancora molti inviti per parlare nelle scuole e partecipare ai festival scientifici: lo scorso settembre ero a Trani, giovedì sarò a Brescia. Diciamo che mi sto specializzando in divulgazione».
Di cosa si occuperà a L’Aquila?
«Il ruolo esatto è ancora da stabilire, credo che continuerò a monitorare il programma di analisi dati che ha reso possibile la scoperta del 2015 con Vedovato e a modificarlo per potenziare la capacità di rivelazione, ma vorrei fare anche qualcosa di nuovo. L’istituto del Gran Sasso è una buona occasione, non solo nel mio campo di ricerca ma anche in altri come quelli su neutrini e onde elettromagnetiche: è un aspetto positivo, perché in futuro lo studio delle onde gravitazionali richiederà uno scambio molto più intenso con tutti i settori della fisica».