Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Soldi e droga dietro la mano che uccise Floris
L’omicidio da parte di Macaluso motivato da un giro di spaccio all’Oasi
La droga e i soldi per comprarla. Sta tutto qui il movente che il 6 novembre 2015 ha armato la mano di Santino Macaluso, con una condanna per omicidio già alle spalle, e ucciso Antonio Floris, detenuto sardo di 61 anni, mentre si trovava per un lavoro nella Comunità Oasi dei Padri Mercedari, a Chiesanuova. Dove Macaluso viveva e dove Antonio Floris passava le ore di libertà prima di tornare in carcere la sera. Così, a quasi due anni di distanza, viene a galla il motivo che ha scatenato la lite tra il killer e la sua vittima, uccisa e nascosta in una catasta di legna per tre giorni fino al ritrovamento del corpo da parte della polizia. Che durante le indagini sull’omicidio aveva anche scoperto un giro di droga che aveva in un’ospite dell’Oasi, Pasquale D’Amico, il suo fulcro. Era stato lui, nelle prossime settimane a proces- so per spaccio, a cedere la droga alcune ore prima dell’omicidio ad un noto avvocato civilista padovano. Ed era stato sempre lui, già condannato per altre cessioni di stupefacente, a incontrare i suoi clienti di fronte al cancello della Comunità di Chiesanuova e rifornirli di droga lontano da occhi indiscreti. Un giro di cocaina, soprattutto, a cui non si sottraeva nemmeno Santino Macaluso. Secondo la ricostruzione emersa ieri nel dibattimento di fronte alla Corte d’Assise di Padova, Macaluso era un abituale cliente di D’Amico ma date le sue difficoltà economiche era stato Antonio Floris, sua futura vittima, a prestargli il denaro in diverse occasioni. Stanco di dare soldi e di non vederseli mai tornare indietro, il detenuto sardo però quel giorno di inizio novembre di due anni aveva detto no all’ennesima richiesta di denaro. Da quel rifiuto era nata una lite sfociata nell’aggressione fatale ad Antonio Floris: ucciso in uno stanzino della comunità e poi portato (forse in spalla forse per trascinamento) lungo un camminamento di 13 metri fino a un cortile e da qui per altri 8 metri, prima di finire nella catasta di legna. Il tutto per mano di Macaluso che dopo l’omicidio, frastornato, aveva cercato di mettersi in contatto con un’avvocata civilista di Udine con cui aveva avuto una storia d’amore anni prima. E lei, ieri testimone, ha ammesso di aver ricevuto quelle chiamate e di avere tentato di tranquillizzarlo. (n.m.)