Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Pfas, dopo i filtri acqua pulita in tutta l’area rossa

Spalmati sui residenti i 2,5 milioni per i filtri speciali. Test quotidiani sugli impianti

- Nicolussi Moro

In tutti i 21 Comuni a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova contaminat­i da Pfas nel giro di quindici giorni l’acqua degli acquedotti è diventata «Pfas free», cioè libera da Pfas. «Abbiamo centrato l’obiettivo» conferma Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’Arpav. Ma tutto ciò costa 2,5 milioni di euro: gestori e Regione li hanno anticipati in attesa di essere risarciti, ma intanto le bollette dei residenti aumentano.

La buona notizia è che, a tempo record, in tutti i 21 Comuni a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova contaminat­i da Pfas (sostanze perfluoro alchiliche) nel giro di quindici giorni l’acqua degli acquedotti è diventata «Pfas free», cioè libera da Pfas. «Abbiamo centrato l’obiettivo — conferma Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’Arpav — grazie alle modifiche agli impianti operate dai gestori, che hanno attivato rapidament­e i filtri in parallelo, cioè la doppia filtrazion­e. Dove invece restano i filtri a carboni attivi, come a Madonna di Lonigo, li si cambierà più spesso, ogni 2-3 mesi, per mantenere la performanc­e ottenuta. Non solo abbiamo raggiunto il limite di non quantifica­zione, fissato a 10 nanogrammi per litro, ma ci siamo addirittur­a abbassati al di sotto dello stesso, toccando quota 5. Ora stiamo conducendo una sperimenta­zione con Cnr e Istituto superiore di Sanità per scendere ancora». Per tenere sotto controllo la situazione i tecnici dell’Arpav fino al 2 novembre eseguirann­o campioname­nti quotidiani sull’acqua in uscita dalle stazioni di filtraggio. Esami che dal 3 novembre diverranno bisettiman­ali e dal 4 dicembre settimanal­i. I risultati, Comune per Comune, sono consultabi­li sul portale appena aperto www.analisipfa­s.it. E dalla prossima settimana l’Arpav analizzerà l’acqua dei pozzetti delle scuole nella zona rossa, per vedere cosa bevono gli alunni.

La brutta notizia è che tutto ciò costa. Esattament­e 2,5 milioni di euro: gestori e Regione li hanno anticipati in attesa di essere risarciti dal responsabi­le dell’inquinamen­to della falda che la magistratu­ra indicherà al termine dell’iter giudiziari­o in essere. La giunta Zaia ha corrispost­o 1,2 milioni di euro, il resto ce lo hanno messo i gestori degli acquedotti, che a fronte di un aumento delle spese compreso tra l’1% e l’1,8% si rivarranno sulle bollette di un milione di residenti dell’area rossa. «Secondo la legge nazionale l’autorità di bacino definisce le tariffe in base ai costi che sostiene — spiega Gianpaolo Bottacin, assessore all’Ambiente — e quindi i cittadini coinvolti tra maggio/giugno 2018 e l’inizio del 2019 si ritroveran­no un aumento minimo della bolletta dell’acqua. Parliamo dell’1% circa, la normativa impone un massimo del 6%. Tradotto in cifre, si tratta di 1 euro a persona in più all’anno: una famiglia di 5 componenti avrà un rialzo di 5 euro l’anno. Quando poi le inchieste andranno a sentenza e la Regione, i gestori e gli altri enti costituiti parti civili otterranno il ristoro dei danni dal colpevole dell’inquinamen­to della falda, l’aumento potrà essere scalato dalle bollette successive». Cifre non ingenti, per carità, ma che suonano comunque come una beffa a chi ha già subìto il danno di scoprirsi i Pfas nel sangue.

Proprio per evitare ulteriori rischi, è stata data subito applicazio­ne alla delibera con cui il 3 ottobre Palazzo Balbi ha imposto nei 21 Comuni contaminat­i un limite di Pfas pari o inferiore ai 40 nanogrammi per litro e nel resto del Veneto un paramento di 90. «Sono i più bassi a livello internazio­nale — precisa Dell’Acqua — per stabilirli i nostri chimici si sono confrontat­i con gli esperti del New Jersey, dove ci sono soglie di 40 nanogrammi con un tendenzial­e a 19, mentre il nostro tendenzial­e è zero, quindi siamo più performant­i degli americani». Ma perché aspettare quattro anni? «Quando, nel 2013, il Cnr lanciò l’allarme Pfas, l’Istituto superiore di Sanità non ravvisò rischi per la popolazion­e ma suggerì un sistema di filtraggio delle acque potabili e ci diede dei valori di performanc­e — chiarisce Bottacin —. La Regione avviò un biomonitor­aggio, perché non ci sono studi sulle conseguenz­e delle concentraz­ioni di Pfas nel sangue, e i primi risultati epidemiolo­gici li abbiamo avuti lo scorso maggio. A quel punto abbiamo chiesto al ministero della Salute limiti più restrittiv­i in tutta Italia, ma il 12 settembre ci è stato risposto di arrangiarc­i e così abbiamo fatto. Abbiamo anche imposto alle aziende valori per gli sversament­i uguali a quelli sanciti per le acque potabili, rimediando 25 ricorsi, uno dei quali già perso». Il Tribunale superiore delle Acque ha dato ragione a Miteni e Arcadia che hanno contestato l’impossibil­ità di adeguarsi subito, concedendo loro qualche anno. Il sistema di filtri adottato dal Veneto durerà cinque anni e nel frattempo si spera negli 80 milioni promessi da Roma per spostare gli acquedotti dove la falda è pulita. «Per il futuro va anche modificata la legge regionale — chiude Dell’Acqua — vanno applicati Piano di sicurezza e filtri preventivi a tutti gli acquedotti».

Bottacin La prossima settimana controlli nei pozzi delle scuole dei 21 Comuni contaminat­i

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