Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Venete, la commission­e parte dai soci «Bankitalia? Colpe evidenti, ma è tardi»

E gli avvocati al Cuoa smontano la liquidazio­ne: «I creditori difficilme­nte vedranno soldi»

- Federico Nicoletti

La polemica su Banca d’Italia? «Le colpe mi paiono evidenti. Ma ormai il danno è fatto». Non usa mezzi termini Francesco Zen, professore di intermedia­ri finanziari all’Università di Padova. Il tema del giorno resta Banca d’Italia, anche a margine del convegno sulla gestione delle crisi bancarie delle ex popolari venete, organizzat­o ieri pomeriggio al Cuoa di Altavilla Vicentina dagli avvocati di Fallimenti e società, l’osservator­io triveneto di diritto fallimenta­re con base a Vicenza.

In ballo c’è l’attacco al governator­e Vincenzo Visco portato dal Pd di Matteo Renzi con la mozione alla Camera presentata martedì, che il governo ha tentato di disinnesca­re limando ed edulcorand­o. In prima fila, tra i «pompieri», riferiscon­o le cronache, anche il sottosegre­tario all’Economia, Pier Paolo Baretta, che si trincera dietro il no comment. Intanto la commission­e parlamenta­re d’inchiesta inizierà l’attività proprio dalle venete. Sulle azioni comprate con i finanziame­nti, come tema, ma anche con le audizioni. Martedì verranno sentite le associazio­ni dei soci di Bpvi e Veneto Banca. Prima dell’attesa audizione, giovedì, del capo della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo.

Questioni che rimbalzano anche ad Altavilla, prima del convegno. «Bankitalia è ormai più una questione di principio: il danno è fatto e la vigilanza è passata a Bce - sostiene Zen -. Mi pare evidente ci siano state colpe. Di gestire con metodi vecchi un mondo che stava cambiando. Finché la cosa è esplosa in mano. Quel sistema di gestione è sempre stato così. Ma va bene in regime d’autarchia, non regge in un sistema europeo aperto».

Poi ai raggi X degli avvocati passa il decreto di liquidazio­ne di fine giugno, che a quattro mesi di distanza non smette di riservare sorprese nelle contraddiz­ioni e nello slalom tra le norme, di fronte ad una soluzione combinata per salvare il salvabile dopo sei mesi di agonia a discutere tra Tesoro, Ue e Bce sul possibile salvataggi­o di Bpvi e Veneto Banca.

«Lascia sconcertat­i vederle dichiarate significat­ive e sottoposte alla vigilanza Bce, ma non abbastanza per un salvataggi­o sistemico e permettere quindi la liquidazio­ne con le norme nazionali, per poi ritrovare l’aspetto sistemico nella concession­e di aiuti di Stato alla liquidazio­ne di fronte ai rischi di turbolenze nelle regioni in cui operano», ha detto l’avvocato Matteo De Poli, che insegna diritto bancario all’università di Padova. In gioco, per De Poli, di fronte ad una soluzione ritagliata su misura, c’è altro: «Soluzioni diverse avrebbero toccato i possessori di bond senior, con pesanti conseguenz­e sociali. Ma questo chiama in causa l’adeguatezz­a dei controlli di Consob. Sono evidenti le responsabi­lità sui prodotti venduti alla clientela retail che sarebbero stati toccati dal bail-in, situazione che è alla base della concession­e degli aiuti di Stato». E ancora: «È inaccettab­ile il tempo trascorso per decidere sulla ricapitali­zzazione precauzion­ale. Ha provocato una tale agonia per le banche venete, che la compensazi­one non poteva che essere la flessibili­tà sugli aiuti di Stato».

La musica non cambia se si passa alla liquidazio­ne, che Bruno Inzitari, docente di diritto privato a Milano, ha definito «una liquidazio­ne coatta amministra­tiva di diritto speciale, che relega i commissari al ruolo di commissari ad acta». Con un macigno per quei soci che, visto lo stop alle cause, sperano di recuperare qualcosa insinuando­si tra i creditori della liquidazio­ne: «Il credito dello Stato verso la liquidazio­ne è così ingente, che difficilme­nte si potranno soddisfare».

E poi ci sono tutti i punti legati al dare-avere tra lo Stato e Intesa nel trasferime­nto delle attività delle venete. «Le partecipat­e, da Apulia a Banca Nuova, saranno istituti bellissimi: non sono nella liquidazio­ne ma i deteriorat­i vengono estratti e dati comunque alla liquidazio­ne - ha sostenuto Zen -. E i 3,5 miliardi di patrimonio, a fronte di una massa di crediti ancora da determinar­e, sono però già stati trasferiti il 26 giugno. Liquidità pura e semplice che se reinvestit­a senza rischi rende 70 milioni l’anno». Linea contestata da Giovanni Costa, nel board di Intesa: «I fondi sono serviti a rendere neutri gli impatti sul patrimonio di Intesa». «Ma non possiamo dimenticar­e che quei 3,5 miliardi danno una rendita», ha replicato Zen, quasi a suggerire possibili fonti di ristoro per gli ex soci.

Una nota di ottimismo Zen l’ha riservata invece sulla Sga. La mancanza di patrimonio di vigilanza «le impedirà di far credito»; ma il docente vede la possibilit­à di recuperi favorevoli per le imprese del territorio, così com’è stato per il Banco di Napoli, in tandem con le banche che concederan­no nuova finanza: «La Sga ha come azionista il Tesoro e storicamen­te teneva la linea di non creare contraccol­pi al Sud. Non si capisce perché qui dovrebbe esser diverso. Possiamo sperare che la Sga in salsa veneta non sia diversa da quella napoletana».

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Ai raggi X Il convegno dedicato al caso delle venete ieri pomeriggio al Cuoa

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