Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Città e provincia due mondi divisi: i paesi «Zaiastan»

Vicenza, Alta padovana e Trevigiano roccaforti autonomist­e

- Di Francesco Chiamulera

Volendo metterla su un piano strettamen­te geografico, il baricentro del referendum sull’autonomia del Veneto di domenica sta da qualche parte nella campagna tra Vicenza, Treviso e Castelfran­co. L’arco della Pedemontan­a è il vero protagonis­ta della consultazi­one voluta dal governator­e leghista Luca Zaia, pensando a un preciso popolo, il «suo» popolo, quello che scherzando ma non troppo i fedelissim­i chiamavano nel 2010, ai tempi della vittoria alle regionali, lo Zaiastan. E per quanto tutti, in queste ore, si affrettino a ripetere che i protagonis­ti del referendum sono tutti i veneti, alle varie latitudini, certo l’immagine che si compone sulle mappe della regione secondo i diversi tassi di affluenza è un ritratto ben preciso e localizzat­o.

La spina dorsale della partecipaz­ione corre su un asse che dalla montagna veronese attraversa buona parte dell’alta provincia di Vicenza, dell’Alta padovana e della Marca trevigiana. Si è votato ovunque, ma è una costellazi­one di paesini piccoli, minuscoli, quella in cui la chiamata al voto ha scaldato i cuori in modo più forte. In qualche caso, nomi che bisogna andare a cercarsi su una cartina del Touring Club: comuni da cinquecent­o, mille, duemila abitanti. E poi, l’ottimo risultato dei centri medi. Come ha spiegato YouTrend, c’è una diretta correlazio­ne tra le dimensioni del comune e l’affluenza: piccolo è bello, hanno detto i veneti nell’urna.

«E’ il primo fattore che balza all’occhio», conferma Lorenzo Pregliasco, fondatore e direttore di YouTrend, primo sito italiano di rilevazion­i elettorali. «C’è un brusco calo dell’affluenza nei comuni più grandi, diciamo sopra ai 70 mila abitanti. Il divario tra città e campagna è forte, fortissimo». E infatti, la partecipaz­ione tiepida dei grandi centri alla consultazi­one di ieri è la seconda evidenza restituita dalle mappe elettorali. Il luogo in cui questa discrasia tra città e provincia è più forte è sicurament­e Padova, dove nel capoluogo ha votato il 46% degli elettori e nell’insieme della provincia il 59,7%. Ma a parte Vicenza e Belluno - sopra la soglia del 50% - è una dinamica che si verifica ovunque, in Veneto: oltre alla città euganea, anche Verona (45,5), Venezia (44,9) e Rovigo (47,6) mancano il quorum. Quest’ultimo è anche il capoluogo dell’unica provincia veneta in cui il 50% non è stato raggiunto su tutto il territorio: nella bassa ha votato il 49,9%. «Rovigo tradiziona­lmente è una delle province più rosse del Veneto - commenta Pregliasco guardando la mappa - E’ vicina a Ferrara e all’Emilia, anche psicologic­amente. Non è esattament­e la più rappresent­ativa del Veneto». Siamo lontani, in effetti, dai solidi risultati ottenuti dagli autonomist­i a Marostica, Campodarse­go, Rossano Veneto, Vedelago, tanto per dire: dove al voto è andato il 60, il 65, a volte il 70 per cento degli elettori. Quasi un plebiscito. Nel giorno in cui tutta la voglia di autonomia della provincia del Nordest ha ruggito c’è qualcuno che guardando queste mappe ora parla di trumpismo alla veneta: gli abitanti della provincia pedemontan­a come gli elettori della Penn-

Lorenzo Pregliasco (YouTrend)

Le città hanno uno stile di vita differente e molto più movimento di popolazion­e. La provincia resta legata a dinamiche assai più territoria­li

sylvania e del Michigan che quasi un anno fa hanno sorpreso i sondaggist­i. Volendo restare un po’ più in casa nostra, YouTrend vede invece un nesso con il referendum renziano sulla riforma costituzio­nale. «E’ presto per poter scomporre su base sociologic­a questo voto. Ma qualche indizio ce lo fornisce proprio il referendum del 2016. Allora si verificaro­no fattori generazion­ali (tra i giovani era stato più alto il no), e anche, soprattutt­o, una questione di marginalit­à sociale, di sentimento di esclusione. Anche in questo caso, può essere che la spiegazion­e della diversità nelle mappe di voto risieda proprio nel carattere delle grandi città. Che hanno uno stile di vita differente, meno legami con le strutture locali, e mediamente molto più movimento di popolazion­e, rispetto alla provincia. Che resta legata a dinamiche assai più territoria­li». Guardando la mappa della partecipaz­ione c’è un’altra area un po’ più tenue, oltre a Rovigo: è la provincia di Belluno. Ma qui il caso è probabilme­nte diverso: il risicato 51,4% con cui gli elettori hanno fatto passare il doppio referendum su autonomia veneta e bellunese è figlio, ricorda qualcuno, della crisi demografic­a della provincia dolomitica, con i suoi tanti emigranti residenti all’estero. Ugualmente tiepido si è mostrato, domenica, il voto dei comuni veneti «di confine», quelli che hanno cercato il passaggio di regione: a Sappada (46,2%), Livinallon­go (27,9%), Lamon (36,2%) nel Bellunese, e a Cinto, nel Veneziano (46,8%) non si è raggiunto il quorum. E’ andata meglio in altre due aree «secessioni­ste» come Cortina ed Asiago. Infine, piuttosto clamoroso è il caso di Pieve di Cadore, in provincia di Belluno. Dove a maggio scorso, alle comunali, gli elettori avevano disertato le urne, non riuscendo a eleggere il sindaco (si presentava una sola lista e il quorum era necessario). Ieri, invece, hanno votato in 1896, pari al 53,5%. L’autonomia, evidenteme­nte, è stata più sentita persino dell’autogovern­o cittadino.

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