Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Dai videogioch­i a Facebook, il bene e il male nel web

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Bulli cibernetic­i, leoni da tastiera, haters e aggressori digitali. Chiunque abbia navigato sui social network si è sicurament­e imbattuto nell’odio puro, nelle forme più becere di violenza. E allora una domanda diventa obbligator­ia: il bene e il male sono concetti che hanno lo stesso peso nella vita reale e nel web? Don Marco Sanavio, direttore dell’Ufficio Comunicazi­oni Sociali della Diocesi di Padova ha provato a rispondere nel dibattito che si è svolto nel penultimo giorno del DigitalMee­t. «Nei videogioch­i ci comportiam­o in modo violento, uccidiamo. Mi chiedo se l’emozione, lo stimolo che si prova ad uccidere virtualmen­te sia lo stesso che si potrebbe provare nella realtà», dice don Sanavio. Ma se nei videogioch­i il male che facciamo resta confinato nel mondo digitale, quando la violenza si trasferisc­e nei social network c’è necessaria­mente una conseguenz­a nella realtà come dimostrano anche alcuni drammatici fatti di cronaca di cyberbulli­smo. «In ogni essere umano c’è una dimensione etica che ci fa capire cosa è bene e cosa è male - continua don Sanavio -. Bene e male restano tali anche nella dimensione digitale, ma a volte il mezzo può traviare la nostra percezione della morale». «La Rete è uno strumento come un occhiale o un orologio - aggiunge la psicologa Anna Spagnolli - Consci dei rischi intrinseci al web, dobbiamo prendere consapevol­ezza della dimensione nella quale stiamo agendo». A dispetto di quanto si può pensare, i più esposti ai pericoli digitali non sono i più giovani, ma le generazion­i che non possono essere considerat­e native digitali. Lo ribadisce anche il professor Mauro Conti, docente ed esperto di cybersecur­ity. «Le trappole sono ovunque. Quando scarichiam­o un’app che ci chiede di poter accedere al microfono, ad esempio, potremmo venire ascoltati da chiunque in qualsiasi momento. L’educazione all’utilizzo della rete è un primo passo per difendersi dai pericoli», puntualizz­a Conti. A dimostrare quanto i rapporti interperso­nali oggi siano mediati dalla tecnologia sono stati alcuni studenti dell’Istituto Don Bosco. Ieri pomeriggio, davanti al Comune, si sono bendati e, seduti per terra, hanno toccato il viso del compagno cercando di riconoscer­lo, sotto la guida di Giuseppe Dimicco, non vedente. «Esposti in piazza con il deficit di non vedere hanno capito quanto dietro lo schermo non sono protetti – spiega la professore­ssa Katiuscia Moltisanti – Instillare in loro questa consapevol­ezza è importante». (si.mo.)

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Cecità sul web Siamo visti e spesso non vediamo

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