Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
LA PROVA DELLA MATURITÀ
Hanno vinto tutti. E avrebbero vinto tutti in ogni caso. Come noto, non c’era possibilità di perdere: il risultato era scontato dall’inizio. Non era come il referendum sul divorzio o sull’aborto, o anche quello sulle riforme istituzionali del 4 dicembre. Tutto era già scritto: e chi l’ha voluto, ha potuto vincere facile, visto che non c’era alcuna incertezza sul risultato finale. Del resto, a sommare i voti dei partiti che erano ufficialmente per il Sì (dalla Lega a Forza Italia al Partito Democratico al Movimento 5 stelle, più gli indipendentisti, le altre liste autonomiste e la Lista Zaia), il totale non era lontano da quello preso dai Sì: 98,1%.
Ha vinto la richiesta di autonomia, dunque. Perfino superiore alla percentuale dei Sì. Anche perché molti voti autonomisti si aggiungono ai Sì di questo referendum: tutti quelli, e non sono pochi, che credono nell’autonomia, ma non in chi gliel’ha prospettata in questo modo, e non per andare nella direzione in cui sta andando chi oggi ha vinto, e quindi si sono astenuti. Per cui, grazie al referendum, abbiamo scoperto quello che già sapevamo: che in grande maggioranza i veneti (il 57,9% che ha votato Sì e anche molti astenuti) vogliono più autonomia. Non proprio una notizia sorprendente: ma è indubbio che il progetto autonomista, se non si perderà in chimere, esce rafforzato dalla consultazione. Il No, naturalmente, non ha avuto alcun risultato significativo. Del resto, nessun partito di minima consistenza era ufficialmente per il No, e perfino Fratelli d’Italia era per il Sì, in Veneto. Quindi il No ha perso, ma nel contempo ha preso più voti dei partiti che lo sostenevano. In un certo senso ha anche vinto.Quanto agli astensionisti, erano solo una corrente di opinione, non rappresentata ufficialmente da alcun partito, se non qualche sigla ultraminoritaria della sinistra (era astensionista tuttavia un pezzo di Pd, in polemica con i vertici che erano per un «Sì critico» la cui criticità tuttavia non è emersa in campagna elettorale, e una parte del M5S, che in campagna elettorale non si è visto proprio).
L’astensione, da questo punto di vista, ha vinto, perché gli astensionisti sono stati molti di più del loro peso elettorale ufficiale (inesistente). Ma nessuno può intestarsi questo voto, dato che l’astensionismo motivato e perfino autonomista è indistinguibile da quello di chi non vota perché non vota, senza altre ragioni di merito. E tuttavia l’astensionismo ha drammaticamente perso, visto che la maggior parte della gente è andata a votare e a votare Sì.
Chi ha vinto, dunque, è chiaro. Ma per certificarlo dovremo aspettare i risultati del processo innescato. Invece di negoziare l’autonomia, si è fatto un referendum, per marcare il punto. Poi – come già annunciato – si chiederà tutto (anche ciò che non è concedibile, come lo statuto speciale), per portare a casa qualcosa. E poi, solo poi, con molto comodo, e finora con poche competenze, si cominceranno davvero a studiare i dossier uno per uno. Su questo, fino ad ora, chi ha vinto ha perso. Perché non c’è una sola persona che abbia fatto i conti, e sappia cosa significa, davvero, maggiore autonomia, nelle varie materie in cui essa di declina, e nei dettagli, in cui come noto ama nascondersi il diavolo.
Non si è ancora vista alcuna proposta concreta per l’autonomia di questa regione, in nessun ambito. Non da parte della maggioranza, che pure la governa ininterrottamente da sempre (e a lungo ha governato anche a Roma), con un’agenda notoriamente autonomista. E meno ancora da parte dell’opposizione, che nulla ha da dire e che nulla ha mai detto, perché nulla ha mai elaborato, rispetto a una possibile visione alternativa del Veneto che vorrebbe. C’è solo da sperare che adesso, finalmente, gli uni e gli altri si preparino, costretti, come apprendisti stregoni, dalle dinamiche da loro stessi messe in moto: che, se non governate, rischiano di andare per conto loro, e portare dove non si vorrebbe, o dove non si sa più che fare (Catalogna docet).
Il Veneto, con il referendum, ha conquistato la bandiera dell’autonomia, che oggi può liberamente garrire al vento. Ma la classe dirigente che l’autonomia dovrà conquistarla è ancora tutta da inventare: sia quella di maggioranza che quella di opposizione. E sarà un percorso lungo, difficile, e rischioso. Per il quale dovranno rendersi visibili due qualità non facili da costruire, per un ceto politico che per troppo tempo ha vissuto essenzialmente di slogan: la preparazione (lo studio, la competenza, la padronanza degli aspetti tecnici) e il senso di responsabilità nel perseguire i propri obiettivi.
L’autonomismo veneto, oggi, esce dalla sua fase di prolungata adolescenza: ed è chiamato a una non scontata prova di maturità.